mercoledì 5 novembre 2014

Autismo come...

Autismo come...
Disprassia? Dispercezione? Deficit cognitivo? Disturbo comportamentale?

Ogni singola definizione delle quattro che ho proposto, identifica, almeno nella maggior parte dei casi di autismo, una realtà indiscutibile, ma non sempre unica espressione dei deficit riscontrabili in questo tipo di patologia. In ambito terapeutico riabilitativo, la maggior parte (se non la totalità) dei cosiddetti “metodi”, parte dal presupposto -a mio parere incompleto e quindi erroneo- che un autistico sia tale perché disprassico, o perché dispercettivo, o perché comportamentale, o perché carente a livello integrativo… e così via ponendo come chiave di lettura in partenza, uno solo dei deficit sopra menzionati. Esistono, infatti, “metodi sensoriali”, “metodi comportamentali”, “metodi cognitivi”, e così via dicendo, secondo un’ottica che non ho mai condiviso, perché sono sempre partito dal presupposto che autismo sia nello stesso tempo dispercezione, disprassia, deficit cognitivo (più o meno evidente), disturbo comportamentale. Per molti, invece, la chiave di lettura di partenza o prevalente nel disturbo autistico, è da considerarsi un’inadeguatezza di uno solo degli elementi costituenti il cosiddetto profilo comunicativo di un individuo, da cui le visioni diagnostiche e le iniziative terapeutiche prevalenti, che tendono ad investire prioritariamente in una singola area di un quadro che in realtà è più variegato e più complesso. Ed invece, peraltro anche da un punto di vista clinico, mi sembra di poter affermare, e non solo in riferimento al campo dell’autismo, che in tutte le situazioni di disabilità, sia sempre più teorico, e quindi meno reale, il riscontro di disturbi puri, o, come si suol dire, “specifici”. In ogni soggetto portatore di handicap, comunicopatico, coesistono quasi sempre diverse patologie di deficit (comorbidità), configurandosi di conseguenza quadri clinici complessi, all’interno dei quali occorre che il diagnosta si cimenti innanzitutto in una sorta di mappaggio delle definizioni delle disabilità, nonché nella ripartizione proporzionale delle differenti forme di inadeguatezza prestazionale. Sono solito, pertanto, parlare di autistici prevalentemente disprassici, autistici prevalentemente dispercettivi, autistici prevalentemente comportamentali, autistici prevalentemente compromessi sul piano cognitivo. Ma in ciascun autistico, pur prevalendo deficit più specifici di una determinata area del profilo comunicativo, comunque coesistono, in misure e proporzioni diverse da caso a caso, o da gruppi di casi a gruppi di casi, carenze riferibili ad ognuna di quelle aree. In una visione ancora più ampia e quindi non necessariamente collegata al solo autismo, credo che si possa affermare che ogni quadro di comunicopatia riferibile ad un più o meno esteso danno a carico del sistema nervoso centrale, porti in sé, e quindi rappresenti, quasi sempre più di una delle prototipie patologiche descritte nel nostro catalogo nosologico. Riportiamone i quadri sindromici:  Disfonie o turbe della vociferazione.  Disfagie o disturbi della deglutizione. Dislalie o alterazioni della pronuncia. Afasie o turbe della codificazione e decodificazione. Disfluenze o turbe del flusso verbale. Disartrie o turbe da alterazioni del primo motoneurone. Ritardi secondari o turbe comunicative negli oligofrenici. Disturbi dell’apprendimento. Sordità e conseguenti turbe comunicative. Turbe comunicative da autismo, altre psicosi, e da inadeguatezze socioculturali. Sindromi da deficit attentivo con o senza iperattività.

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