lunedì 1 aprile 2019

2 aprile 2019. Giornata mondiale della consapevolezza sull'autismo

Dopo tanti altri 2 aprile in cui abbiamo letto e sentito ricordare che esiste l’autismo, che è in costante aumento, e che le persone autistiche sono sempre più numerose e bisognose di attenzioni, quest’anno vorrei soffermarmi su due temi che considero di particolare importanza, e pertanto degni di essere al centro di una più focalizzata consapevolezza.
Mi riferisco al significato di diagnosi precoce e all’appropriatezza delle cure.
La diagnosi precoce, tempestiva, è il presupposto fondamentale per poter iniziare un percorso abilitativo riabilitativo che abbia qualche concreta possibilità di successo. Lo dichiaro senza mezzi termini e giri di parole: sono ancora troppo numerosi i sanitari che davanti a un bambino di uno-due anni, che mostra segni di autismo, dichiarano che “è presto” per formulare una diagnosi certa, e che si può attendere prima di pronunciarsi. Quella piccola locuzione (“è presto”) ha impedito a migliaia di famiglie di dare al proprio figlio, che comunque autistico era sin dall’inizio delle prime visite, di avere un futuro migliore. Ancora una volta, in occasione di questo 2 aprile, accuso pubblicamente e a voce alta, quei “colleghi” che mi hanno definito allarmista, pessimista, precipitoso, nel formulare diagnosi di autismo, e che hanno colpevolmente tranquillizzato tante famiglie in angoscia perché io avevo detto che il loro piccolo era sul baratro o già nel baratro dell’autismo, per poi vederle ritornare dopo anni, e sentirmi dare ragione troppo tardi, incassando un amaro riconoscimento che non avrei voluto avere. Non è il momento (per me non lo è mai stato) di assumere comportamenti ipocritamente buonisti se ci si trova davanti a un male, un male serio, che può essere sconfitto solo se affrontato al più presto, intensivamente e con competenza.
In questo 2 aprile attacco veementemente anche coloro i quali negano che l’autismo si possa superare. E lo dichiaro non solo a difesa del mio lavoro e dei miei risultati, ma anche a nome di quanti, pur non essendo parte dei miei gruppi operativi, sono riusciti a recuperare dei bambini autistici. Chi non è stato capace di raggiungere questi risultati, farebbe meglio a tacere, a farsi da parte, o ad andare a imparare da chi ha ottenuto successi, piuttosto che denigrare chi ci è riuscito. Spargere pessimismo, è un atto di vigliaccheria e disonestà, soprattutto nei confronti di nuove e sempre più numerose famiglie che si trovano a dover combattere il mostro dell’autismo, e che avrebbero bisogno di conforto e speranze concrete, piuttosto che parole denigratorie verso chi può essere loro utile.
Infine, una considerazione sulle terapie e sui terapisti. Considero ridicolo che ci siano sostenitori di determinati “metodi”, che si autoconferiscano la patente di unicità di validazione scientifica. Ai bambini autistici servono operatori che sappiano renderli comunicativi, ben relazionati, autonomi, e soprattutto “parlanti”, e parlanti in modo creativo e non robotico o automatico; educandoli e non addestrandoli. Il miglior metodo, anzi, direi i migliori terapisti, sono quelli che raggiungono risultati concreti. Il consiglio che sento di dare alle famiglie che cercano di capire a chi prestare maggiore ascolto, e quindi a chi affidare il recupero del proprio bambino, è quello di chiedere a chi si autocelebra come unico e validato, di mostrare i frutti del suo lavoro, cioè di far incontrare altre famiglie, altri bambini, beneficiati dal tipo di intervento proposto. Quale che sia il “metodo”. Si guardino i risultati, quelli veri, non quelli scritti su carta. E’ la sfida che più mi piace lanciare a chi si professa unico e solo profeta della riabilitazione dell’autismo. Le nostre porte sono aperte sempre per mostrare il nostro lavoro e i nostri risultati. Il nostro “open day” dura 365 giorni l’anno. Per noi è sempre 2 aprile.