venerdì 12 dicembre 2014

Autismo a Medical Excellence tv

Prima puntata: Autismo. Inquadramento generale e cause:
 http://www.medicalexcellence.tv/medici-in-prima-linea/Medici-in-prima-linea-autismo-che-cosè-e-quali-sono-le-cause.html

Seconda puntata: Autismo. Modalità di insorgenza:
http://www.medicalexcellence.tv/medici-in-prima-linea/Autismo-come-e-quando-si-manifesta.html

Terza puntata: Autismo-Autismi. Manifestazioni cliniche e basi anatomiche:
http://medicalexcellence.tv/medici-in-prima-linea/Medici-in-prima-linea-autismo-e-autismi.html

Quarta puntata: Autismo. aspetti clinici:
http://www.medicalexcellence.tv/medici-in-prima-linea/Autismo-aspetti-clinici.html

Quinta puntata: Fattori di rischio:
http://medicalexcellence.tv/medici-in-prima-linea/Autismo-fattori-di-rischio.html

Sesta puntata: Tipi di intervento terapeutico:
http://www.medicalexcellence.tv/medici-in-prima-linea/Autismo-tipi-di-intervento-riabilitativo-e-metabolico.html

Decima e ultima puntata, dedicata ai capisaldi dell'intervento abilitativo foniatrico integrato, ai concetti di guarigione clinica e anatomopatologica, al futuro per gli autistici:
 http://www.medicalexcellence.tv/medici-in-prima-linea/Autismo-quale-futuro.html

lunedì 8 dicembre 2014

Ciao Pino Mango

Addio Pino Mango, grande artista che hai regalato tante emozioni, e che mi hai onorato della tua presenza a una mia masterclass di foniatria e canto.

domenica 7 dicembre 2014

Quante di voi?

Periodo di lauree... In tale occasione, riprendo un editoriale che scrissi diversi anni fa, pensando alle neolaureate logopediste. Lo ripropongo in questa sede:
Quante di voi, GIOVANI LOGOPEDISTE NEODIPLOMATE (anzi, oggi si dice “neolaureate”), che con grande e giustificata euforia state festeggiando questo importante traguardo della laurea (o minilaurea che dir si voglia) saranno professioniste nominate e ricercate, e quante andranno a trascorrere anni della propria esistenza in un centro di riabilitazione che parcheggia insufficienti mentali adulti dati per non recuperabili sin dai primi anni della loro vita perchè classificati come rendita fissa per centri convenzionati di cui voi sarete (semi)involontarie serve sciocche?
Quante di voi continueranno a studiare, ad aggiornarsi, a mettersi in discussione, a confrontarsi, a cercare di migliorarsi e migliorare le proprie capacità terapeutiche; e quante si limiteranno soltanto a fare un po’ di “shopping di crediti formativi” (oggi è un business anche questo), caso mai possibilimente vicino casa per non scomodarsi troppo a viaggiare?
Quante di voi avranno sempre una valigia pronta ad essere fatta e disfatta, perché disposte a girare l’Italia ed il mondo per portare ovunque la propria opera (sempre se ne sarete in grado), studiare e confrontarsi; e quante di voi la valigia la tireranno fuori dall’armadio solo per le ferie estive?
Quante di voi frequenteranno le sale dei congressi pendendo dalla labbra dei vari “tromboni” (vecchi e nuovi) universitari, figli, nipoti e pronipoti di (guarda caso) omonimi docenti che vi racconteranno ciò che vorranno senza che siate minimamente in grado di accettare o respingere certe affermazioni; e quante di voi invece “ruggiranno” da dietro a quei microfoni, dimostrando che le terapie si possono svolgere anche come dite voi, e che non tutte le asserzioni scientifiche passate come tali, sono delle verità, ma possono anche essere messe in discussione?

Quante di voi, ASPIRANTI TIROCINANTI E FREQUENTATRICI DEI MIEI CENTRI, che siete venute al primo colloquio ben vestite e truccate e con i capelli freschi di parrucchiere, continuerete a venire a veder lavorare le vostre (future) colleghe, mettendovi umilmente in discussione e a confronto, cercando di attingere ciò che potrà essere utile alla vostra preparazione e formazione, senza fretta di operare subito, senza arrogante presunzione, e con quello spirito di sacrificio necessario per assimilare ed apprendere?
Quante di voi diventeranno come sono diventate alcune di quelle che diversi anni fa si erano sedute davanti alla mia scrivania porgendomi un curriculum che a stento lessi (“perché, tanto”, pensavo e penso, “a me interessa vedere quello che valete sul campo, non quello che avete scritto su questi fogli…”), e che oggi lavorano in tutta Italia, ricercate, elogiate e ammirate? O quante di voi si sono già arrese al solo sentirsi dire la frase: “Io non garantisco niente a priori, conquistate la mia fiducia e la mia stima e ci sarà spazio anche per voi”…?

domenica 30 novembre 2014

Sordità e Autismo

Sordità e Autismo. Impariamo innanzitutto a distinguerli

Sordità. Autismo.
Due parole che spaventano, due patologie tra le più gravi nell’ambito dei disturbi della comunicazione; ma ben distinte, che quasi mai si incontrano; e che invece spesso intrecciano le proprie strade, anche se per lo più nelle ipotesi diagnostiche, patogenetiche, ed in alcuni errori interpretativi.
Venticinque anni di foniatria mi hanno consentito di vivere il mondo delle sordità infantili e quello dell’autismo in misura significativamente ampia per poter esprimere qualche opinione e qualche commento di una certa utilità pratica in tema di rapporti tra queste due forme di handicap.
A proposito, quando ci sono bambini con menomazioni sensoriali, o motorie, o cognitive, o relazionali-comportamentali, io parlo di handicap, di disabilità, utilizzando ancora questa terminologia tradizionale, che preferisco a quella più attuale, ma ipocrita, che ricorre a definizioni del tipo “diversamente abile”. Chi è affetto da sordità, o da paralisi, o da autismo, o da insufficienza mentale, purtroppo ha un deficit, un handicap, non una “diversabilità”. Evitiamo l’ipocrisia di definirlo eludendo ciò che innanzitutto lo limita, e cerchiamo piuttosto di trovargli, offrirgli e garantirgli ben altri compensi e recuperi di abilità, che non un pietoso nome alternativo ed edulcorato.
Tornando al rapporto sordità-autismo, vorrei richiamare innanzitutto l’attenzione su quanto non sia affatto difficile distinguere una situazione dall’altra. Chi veramente ha esperienza nel settore, avrà compreso subito che cosa intendo con questa affermazione. Chi ha veramente visto, diagnosticato e trattato bambini sordi e bambini autistici, avrà subito configurato nel proprio immaginario, piccoli pazienti con caratteristiche ben diverse tra gli uni e gli altri. Poiché si tratta di orientarsi, a livello diagnostico differenziale, su piccoli pazienti che nella migliore delle ipotesi giungono alla nostra osservazione poco dopo il compimento dell’anno di età, le due diverse situazioni hanno già assunto quelle connotazioni di base aventi già determinati tratti distintivi difficilmente confondibili. Raramente, pertanto, in presenza di un bambino che mostra già evidenti segni di autismo, mi affretto a prescrivere esami audiometrici. La diagnosi di autismo è soprattutto una diagnosi clinica, non strumentale. Se ho sospetti di sordità, antepongo la richiesta di indagini audiologiche a tutto il resto, ma -specularmente- in assenza di tale ipotesi diagnostica, cerco di sensibilizzare i genitori del bambino soprattutto ad una precocità di presa in carico abilitativa ed educativa in ben altre direzioni, non passanti attraverso un attardarsi ad effettuare analisi.
Un’altra distinzione che reputo opportuno segnalare, riguarda gli ipotetici nessi patogenetici tra sordità e autismo. Nei non numerosi casi di coesistenza delle due patologie nello stesso bambino, mi è capitato di sentire, in più di un’occasione, che era stato prospettato un innesco della sindrome autistica da parte dell’ipoacusia profonda. Mi sento di smentire decisamente l’esistenza di una possibilità del genere. Escludo l’esistenza di un “autismo da sordità”. La maggior parte dei sordi non ha subito e non subisce alcuna evoluzione verso l’autismo, la maggior parte degli autistici non è composta da sordi, soprattutto se per sordità classicamente intesa intendiamo la sordità da danno cocleare. Ma in ogni caso anche le forme di sordità centrale, ossia quelle da danno della via uditiva centrale o della corteccia temporale, in presenza di sindrome autistica non costituiscono che una componente del quadro clinico generale, senza identificarne né le causa né la connotazione unica.
Aggiungo anche che l’incidenza percentuale di sordi in una popolazione di autistici è numericamente sovrapponibile all’incidenza di sordi in una popolazione di soggetti non autistici.
Solo per completezza di informazione e di trattazione dell’argomento, segnalo ancora di aver visitato in alcune zone a particolare rischio di inquinamento ambientale (bambini nati da genitori che vivevano o lavoravano presso un polo petrolchimico) una maggiore quanto anomala concentrazione di bambini affetti da sordità, autismo ed altre malformazioni tra le quali la labiopalatoschisi.
Ma tutto ciò nulla toglie né aggiunge a quanto intendevo affermare, e cioè che sordità e autismo si manifestano clinicamente in maniera ben diversa e quindi facilmente distinguibile, e che, quando presenti nello stesso soggetto, costituiscono il frutto di una coesistenza al più riferibile a qualche situazione genetica rarissima che potrebbe dare un avvio comune alle due affezioni, così come potrebbe accadere in conseguenza di eventi neurolesivi neonatali (eccessiva prematurità, spesso accompaganata da emorragie cerebrali) o di embrio-fetopatie da tossici, da infezioni; ma non per un innesco dell’una nei confronti dell’altra.

Prof. Massimo Borghese

www.massimoborghese.it

mercoledì 26 novembre 2014

Quando si annunciano nuove scoperte sulle cause dell'autismo...

"Autismi" e non "autismo". "Cause" e non "causa".
Con queste puntualizzazioni intendo affermare che scoprire una cosiddetta causa genetica dell'autismo (ma sarebbe meglio dire di alcune forme di autismo) non esclude che possano essercene anche di acquisite. E le stesse alterazioni genetiche che disturbano lo sviluppo e la migrazione neuronale cerebrale, possono essere non il primo anello assoluto della catena, ma anche l'effetto successivo di altri disturbi esterni e non interni all'organismo. Vedasi al riguardo il relativamente nuovo concetto di "epigenetica", cioè di alterazioni genetiche indotte da fattori esterni.
Dunque, un minimo di buon gusto e di coerenza scientifica potrebbero far evitare di menzionare la presunta innocenza dei vaccini (che poi definirei meglio "di un certo modo di vaccinare") ogni volta che si evidenziano altre possibili cause di autismo.
Anche perchè "excusatio non petita, accusatio manifesta"... ;-)

lunedì 17 novembre 2014

Caro bambino in cammino verso l'autismo...

Caro bambino in cammino verso l’autismo,
questa lettera purtroppo non sarai tu a leggerla, ma chi probabilmente dovrà decidere per te, del tuo futuro, del tuo destino, delle tue possibilità di non cadere nel baratro verso cui sei incamminato, delle tue possibilità di trovare o recuperare la capacità di comunicare con gli altri e di esprimere le tue esigenze, i tuoi pensieri…
Oggi voglio dedicarti un augurio, mentre dentro di te sta crescendo il mostro dell’autismo, non importa se perché non hai retto ai tanti vaccini che ti hanno iniettato in corpo in quantità così esagerate e con tanta fretta, o perché nel tuo codice genetico era già scritto che ti saresti avviato subito verso questa malattia, o per entrambe le ragioni; voglio dedicarti un augurio veramente di difficile realizzazione, quasi impossibile.
Sto per augurarti infatti, che quando (e spero al più presto) almeno uno dei tuoi genitori (di solito la mamma, perché in tanti anni di esperienza e di lavoro mi sono accorto che quasi sempre sono le mamme ad essere più sensibili e più intelligenti) riferirà al tuo pediatra, che ha dei sospetti sul tuo sviluppo, che non ti vede come gli altri, che sembri più chiuso, meno attento, meno propenso a guardare la gente negli occhi, che muovi le mani sempre allo stesso modo, che ti fissi sempre e a lungo sullo stesso giocattolo (sempre che realmente qualche giocattolo ti attiri), che, insomma, sembra che te ne stai meglio in un mondo appartato…, il tuo pediatra non risponda di non preoccuparsi, che tutto si sistemerà col tempo, che “ogni bambino ha i suoi tempi”…, perché, sappi, caro piccolo cucciolo destinatario di questa mia lettera, che se il pediatra risponderà così e dissuaderà i tuoi genitori dal prendere subito iniziative per tirarti fuori dal baratro in cui stai cadendo, il tuo futuro sarà molto più difficile e incerto, e quella parola “autismo” rischierai di trovartela appiccicata addosso per sempre, o molto più a lungo, o comunque rischierai di portarti sempre qualche segno che ti renderà “diverso”.
Questo mio augurio ha in sé qualcosa di odioso, lo so, caro bambino incamminato verso l’autismo, ma sono più di venti anni che cerco di far capire a quei “dottori” chiamati pediatri, di non far perdere a te e a quanti come te, la possibilità di essere aiutati subito a non cadere in quella terribile malattia che oggi sta divorando tanti di voi.


domenica 16 novembre 2014

Domande di attualità in tema di autismo

“Dottore, ma è vero che l’autismo è dovuto ai vaccini?”
“Mi hanno detto che chi è autistico non può mai guarire”.
“Molti affermano che non ha senso privarsi di determinati alimenti in presenza di autismo. E’ vero?”

Ecco, basterebbero queste tre domande per riempire pagine e pagine di articoli sui rispettivi temi.
Vorrei trarre spunto da questi impegnativi quesiti per porre l’accento su un altro aspetto del problema, non meno importante e non meno trascurabile agli occhi degli interessi di chi si pone e ci pone queste domande. Mi riferisco infatti al ruolo del medico che si trova davanti a interrogativi tanto forti, posti dai familiari di bambini così duramente colpiti da una patologia come quella autistica.
Ciascuno dei temi in questione, vede già delineati, ormai da anni, schieramenti praticamente definibili “pro” o “contro” i vaccini (ne va della salute di milioni di bambini che stanno nascendo e crescendo), pro o contro le diete nell’autismo, inclini o non inclini a credere nelle possibilità di “uscita” dall’autismo.
Indipendentemente dalle opinioni personali dei singoli sanitari riguardo a queste enormi problematiche, credo ci si debba preliminarmente soffermare su un diritto/dovere di ogni medico e operatore del settore: maturare delle opinioni proprie, non dettate dai “sentito dire”, non condizionate da chi regge dall’alto i fili del presunto “sapere ufficiale”, non corrotte dal denaro di lobbies farmaceutiche o di altre industrie che sostengono posizioni e tendenze a seconda dei rispettivi e opposti interessi.
Un medico favorevole ai vaccini, dovrebbe essere tale perché convinto dell’eventuale innocuità e dei benefìci dei vaccini, non perché incentivato economicamente dalle case farmaceutiche, o perché fanaticamente schierato senza aver mai veramente verificato la lesività o la non pericolosità di tali pratiche.
Chi afferma che le diete prive di glutine, caseina, soia e mais, nell’autismo non servono a niente e non sono “scientificamente validate”, dovrebbe trovare conferma delle sue affermazioni nella pratica quotidiana, nella verifica sul campo, e non su quanto affermato aprioristicamente da chi preferisce non sforzarsi nemmeno a verificare la propria posizione di chiusura verso il nuovo e il cosiddetto “non convenzionale”. Dopo di che, si assumano pure posizioni favorevoli o contrarie, ma sulla base di verifiche concrete e non di affermazioni teoriche.  
Lo stesso dicasi per quelli che io definisco “seminatori di negatività e di disperazione”, ossia i sostenitori dell’impossibilità di superare lo stato di autismo. La presenza di bambini, ragazzi, uomini, in passato diagnosticati autistici (e, si badi bene, non c’era errore di diagnosi, come vigliaccamente alcuni insinuano) e oggi non più gravati dai sintomi di quella patologia, sono una realtà visibile agli occhi di tutti. Negarne l’esistenza, negare che provenissero da quella situazione, negare che chicchessia possa “uscire dall’autismo”, è una atto di terrorismo psicologico, culturale, morale. Con questo non voglio asserire che tutti gli autistici possano cessare di essere tali, o che con la crescita non abbiano o non possano avere altri problemi, ma di qui a dire che lo status di autistico, tale è e tale è immutabilmente destinato a rimanere, credo sia una forma di cattiveria oltre che di ignoranza.

mercoledì 5 novembre 2014

Autismo come...

Autismo come...
Disprassia? Dispercezione? Deficit cognitivo? Disturbo comportamentale?

Ogni singola definizione delle quattro che ho proposto, identifica, almeno nella maggior parte dei casi di autismo, una realtà indiscutibile, ma non sempre unica espressione dei deficit riscontrabili in questo tipo di patologia. In ambito terapeutico riabilitativo, la maggior parte (se non la totalità) dei cosiddetti “metodi”, parte dal presupposto -a mio parere incompleto e quindi erroneo- che un autistico sia tale perché disprassico, o perché dispercettivo, o perché comportamentale, o perché carente a livello integrativo… e così via ponendo come chiave di lettura in partenza, uno solo dei deficit sopra menzionati. Esistono, infatti, “metodi sensoriali”, “metodi comportamentali”, “metodi cognitivi”, e così via dicendo, secondo un’ottica che non ho mai condiviso, perché sono sempre partito dal presupposto che autismo sia nello stesso tempo dispercezione, disprassia, deficit cognitivo (più o meno evidente), disturbo comportamentale. Per molti, invece, la chiave di lettura di partenza o prevalente nel disturbo autistico, è da considerarsi un’inadeguatezza di uno solo degli elementi costituenti il cosiddetto profilo comunicativo di un individuo, da cui le visioni diagnostiche e le iniziative terapeutiche prevalenti, che tendono ad investire prioritariamente in una singola area di un quadro che in realtà è più variegato e più complesso. Ed invece, peraltro anche da un punto di vista clinico, mi sembra di poter affermare, e non solo in riferimento al campo dell’autismo, che in tutte le situazioni di disabilità, sia sempre più teorico, e quindi meno reale, il riscontro di disturbi puri, o, come si suol dire, “specifici”. In ogni soggetto portatore di handicap, comunicopatico, coesistono quasi sempre diverse patologie di deficit (comorbidità), configurandosi di conseguenza quadri clinici complessi, all’interno dei quali occorre che il diagnosta si cimenti innanzitutto in una sorta di mappaggio delle definizioni delle disabilità, nonché nella ripartizione proporzionale delle differenti forme di inadeguatezza prestazionale. Sono solito, pertanto, parlare di autistici prevalentemente disprassici, autistici prevalentemente dispercettivi, autistici prevalentemente comportamentali, autistici prevalentemente compromessi sul piano cognitivo. Ma in ciascun autistico, pur prevalendo deficit più specifici di una determinata area del profilo comunicativo, comunque coesistono, in misure e proporzioni diverse da caso a caso, o da gruppi di casi a gruppi di casi, carenze riferibili ad ognuna di quelle aree. In una visione ancora più ampia e quindi non necessariamente collegata al solo autismo, credo che si possa affermare che ogni quadro di comunicopatia riferibile ad un più o meno esteso danno a carico del sistema nervoso centrale, porti in sé, e quindi rappresenti, quasi sempre più di una delle prototipie patologiche descritte nel nostro catalogo nosologico. Riportiamone i quadri sindromici:  Disfonie o turbe della vociferazione.  Disfagie o disturbi della deglutizione. Dislalie o alterazioni della pronuncia. Afasie o turbe della codificazione e decodificazione. Disfluenze o turbe del flusso verbale. Disartrie o turbe da alterazioni del primo motoneurone. Ritardi secondari o turbe comunicative negli oligofrenici. Disturbi dell’apprendimento. Sordità e conseguenti turbe comunicative. Turbe comunicative da autismo, altre psicosi, e da inadeguatezze socioculturali. Sindromi da deficit attentivo con o senza iperattività.

mercoledì 8 ottobre 2014

Videolezioni su autismo e voce artistica

In tema di formazione-aggiornamento segnalo agli interessati, che in questa videogallery si trovano interviste sui temi dell'autismo e della voce artistica, che identificano vere e proprie lezioni utili allo scopo:
 http://www.massimoborghese.it/video.aspx

lunedì 29 settembre 2014

Attualità in tema di epidemiologia, etiologia, clinica, prognosi e terapie dell'autismo

Pubblicato sulla Rivista "I Care", anno 39, numero 3, 2014: 94-95

Il grande aumento dei casi di autismo infantile in tutti i paesi del mondo, si presta inevitabilmente ad una revisione dei fattori epidemiologici, etiologici, clinici, prognostici, terapeutici, di una così complessa patologia intorno alla quale si sono sviluppati in questi ultimi anni numerosissimi approfondimenti spesso anche contrastanti tra loro in molti aspetti.
Al fine di cercare di dare un contributo alla ridefinizione delle sindromi autistiche, sotto tutti i punti di vista e di inquadramento, vorremmo riportare, basandoci su rilievi estraibili da un arco di tempo di venticinque anni, alcuni elementi emersi da un’osservazione clinica, supportata da valutazioni statistiche e da follow up effettuati anche allo scopo di confermare o smentire quanto di volta in volta ipotizzato durante esperienze dirette, o segnalato da altri ricercatori e operatori del settore.
I principali punti di riferimento per l’analisi in questione, sono riconducibili al complesso problema delle cause, dei meccanismi patogenetici, delle localizzazioni dei danni organici, delle manifestazioni cliniche, delle scelte e degli effetti delle terapie, non solo per avallarne o meno l’efficacia, ma anche per pronunciarsi in termini prognostici nei confronti di una patologia troppo spesso e talvolta affrettatamente definita come insormontabile e irrimediabile.
I risultati (da considerare mai definitivi!) di una lunga e approfondita serie di rilievi e analisi quali- quantitative, sono riassumibili per linee essenziali e per riferimenti di maggior interesse pratico, nei seguenti punti:
     Non è più possibile parlare di cause di autismo solo come innesco genetico. Malattie esclusivamente genetiche hanno andamenti epidemiologici costanti. L’aumento del 700% dei casi di autismo in tutti i paesi del mondo, disattiva di fatto la teoria che possa trattarsi di una patologia di sola origine genetica, spingendo a prendere in considerazione il concorso di fattori esterni, ambientali, alimentari, infettivi, tossici, farmacologici; e inducendo altresì a pensare anche alla “epigenetica”, ossia alle modifiche del patrimonio genico legate non alla trasmissione attraverso DNA, bensì all’effetto delle influenze ambientali. 
     Gli organi e apparati danneggiati nei diversi “autismi”, risultano essere soprattutto l’encefalo (cervello, cervelletto, tronco encefalico), il sistema digerente, l’apparato immunitario, il sistema endocrino; in misure e combinazioni diverse da caso a caso o almeno da gruppi di casi a gruppi di casi.
     Le manifestazioni cliniche delle sindromi autistiche hanno insorgenze molto precoci: dai primissimi mesi di vita nelle forme cosiddette primitive, ai quindici-diciotto mesi nelle forme cosiddette regressive. Ma in una situazione come nell’altra, non esiste un “presto” per pronunciarsi in senso diagnostico, e non vi possono essere ormai più giustificazioni per una ritardata diagnosi di autismo.
     Ne consegue la necessità di prese in carico terapeutiche immediate e precoci, senza rinvii inutili e dannosi. Statistiche alla mano, possiamo affermare che la maggiore percentuale di recuperi significativi di soggetti autistici, coincide con i parametri: immediatezza, intensività, qualità di intervento.
     In un’ampia e significativa percentuale di casi (tra il sessanta e il settanta), il ricorso a provvedimenti alimentari e a trattamenti biomedici, ha migliorato notevolmente le capacità di risposta dei soggetti autistici alle terapie abilitative riabilitative educative.
     Protagonista dei protocolli terapeutici deve essere l’intervento logopedico, da considerarsi fondamentale, improcrastinabile, e dunque non subordinato né nel tempo né nell’attesa di risultati, a qualsiasi altra forma di terapia. Affiancare, sì, ma non anteporre altri trattamenti rispetto a quello logopedico, da intendere peraltro nella sua piena realizzazione su tutti gli aspetti del profilo comunicativo: percettivo, cognitivo-integrativo, motorio-prassico-espressivo, relazionale-comportamentale.
     Non è vero che i sintomi dell’autismo non solo estinguibili. Trattamenti precoci, intensivi, competenti, possono consentire a un soggetto autistico, di diventare comunicativo, verbale, autonomo, socialmente compatibile, scolarizzabile, inseribile nel mondo del lavoro. Ciò non vuol dire il raggiungimento di una perfezione prestazionale o il superamento della patologia da parte di tutti; ma l’attuale provata e documentata esistenza di bambini riconosciuti inizialmente autistici, e migliorati al punto da aver estinto quelle sintomatologie, autorizza a credere e a investire in un lavoro di recupero a tutto campo, senza preclusioni e pregiudizi sulla sua possibilità di riuscita.
     Resta infine un tema aperto e da approfondire nel tempo: il nesso tra autismo infantile, sua evoluzione nell’adolescenza, e psicosi dell’età adulta. Analisi e verifiche retrospettive ci autorizzano a ipotizzare legami tutt’altro che trascurabili tra autismo (e altre psicosi dell’età evolutiva) e patologie psichiatriche dell’età adulta. Da qui, l’invito ad altri studiosi della materia, a orientare anche in questa direzione le loro ricerche.

venerdì 15 agosto 2014

ADHD (Sindrome da Deficit dell'Attenzione con Iperattività). Pubblicazione

Autismo e ADHD (Sindrome da Deficit dell'Attenzione con Iperattività) sono notevolmente collegati. Alcuni anni fa riportai sul sito neuropsicomotricista.it il testo di un lavoro pubblicato sulla rivista "I Care" in tema di ADHD. Vi è un'ampia trattazione dell'argomento. A chi interessato, segnalo il link: http://www.neuropsicomotricista.it/argomenti/patologie/102-disturbo-da-deficit-dattenzione-adhd/872-adhd-in-foniatria.html

sabato 9 agosto 2014

"E allora fatelo voi"... e "Non è il mio capo!"

Ricordo quando lavoravo in ospedale o nei centri di riabilitazione in cui ero consulente…  A volte arrivavo in ritardo, è vero, ma i vari primari, direttori, direttorini e personaggi secondari che si sentivano burocraticamente “capi”, mentre mi chiedevano di portare a termine i compiti più complessi che solo con la mia competenza sarebbe stato possibile svolgere con successo, allo stesso tempo non facevano a meno di minacciare sanzioni per il ritardo, o se avessi lavorato in modo difforme dai loro capricci e dai loro dettami. Eh, quante volte mi trovai a rispondere: “Allora fatelo voi!”, senza che sapessero farlo; e quante volte mi sono sentito definire il più antipatico se non proprio il più odiato…
E quando, alla fine, qualcuno mi chiedeva di riferire o di portare al “mio capo”, io rispondevo: “Non è il mio capo”.
Ecco, questo video mi fa rivivere tutti quegli episodi e stati d’animo:

sabato 2 agosto 2014

Libro "AUTISMI"

“AUTISMI” è il titolo del mio ultimo libro pubblicato sul tema.
In questo lavoro ho voluto concentrare un insieme variegato ed il più possibile completo di informazioni sulla sindrome autistica ed altre patologie ad essa collegabili, affrontando le diverse tematiche sia da un punto di vista strettamente scientifico e tecnico, sia sotto il profilo sociale, culturale generale, pratico.
Solo a scopo esemplificativo, ne riporto l’indice:
Introduzione
Cause, meccanismi patogenetici, localizzazioni, espressioni cliniche e valutazioni del danno cerebrale
Autismo-Autismi
L'inquadramento foniatrico
L'intervento terapeutico
Su terapie e terapisti
Discussioni sul tema dell'autismo e sindromi correlate. Episodi, testimonianze, rifl essioni
Pubblicazioni, interviste e articoli
Aforismi che ho reputato collegabili al contenuto di questo libro (e alla mia carriera)
Bibliografia
Webgrafia

Dettagli del libro


Prezzo di copertina: 30 €.
Per acquistare il libro, scrivere a: m.borghese@tin.it
Spedizione a domicilio del richiedente.

Presentazione del libro AUTISMI. Domande tratte da interviste

Perché un quarto libro sull’autismo? Quali motivi l’hanno spinta a scriverne un altro dopo quello pubblicato nel 2007?
Differenti e numerosi motivi mi hanno spinto a scrivere “Autismi”. L’impulso principale è scaturito dalla necessità di assemblare in un unico volume tutto ciò che in questi anni ho realizzato e divulgato sul tema dell’autismo. Ho voluto confezionare un raccoglitore di facile ed immediata consultazione che consentisse a chi, interessato all’argomento, volesse ritrovarsi a portata di mano un gran numero di aggiornate informazioni sulle cause, i sintomi, i rimedi, la realtà degli operatori sanitari e delle famiglie, le tematiche sociali, le discussioni, i contenziosi, i problemi, i dibattiti, la bibliografia mondiale… su questa complessa patologia. E poi direi che mi ha indotto a pubblicare “Autismi”, anche la voglia di rendere ancora più chiaro e noto che tante definizioni, tante modalità di espressione ma anche di  lavoro, che oggi molti si attribuiscono, sono state ideate e prodotte da me, in tempi di gran lunga antecedenti quelli nei quali sono emersi tutti coloro i quali mi hanno copiato. C’è infatti un capitolo di questo libro in cui riporto le mie pubblicazioni ed i miei scritti degli scorsi anni, da cui si può inequivocabilmente dedurre quando fui io per primo a parlare in certi termini e di determinate modalità operative; a cominciare proprio dall’utilizzo del termine “autismi” piuttosto che di “autismo”.   

Perché il titolo “Autismi”?
Perché effettivamente sotto un’unica definizione si raccolgono quadri clinici molto diversi l’uno dall’altro, accomunati, sì, da quella sintomatologia di base che caratterizza un soggetto rientrante nello spettro autistico, ma con diversificazioni talmente evidenti, che alla fine si rende necessario soffermarsi a descriverle ed approfondirle.

A chi è rivolto questo libro?
Ho scritto “Autismi” pensando di rivolgermi contemporaneamente a medici, operatori della riabilitazione, insegnanti, insegnanti di sostegno, ma soprattutto a famiglie e lettori non necessariamente collegati all’autismo per motivi e vicende personali. La mia ambizione, nello scrivere questo libro, è stata forse soprattutto quella di concepirlo di interesse generale, universalmente trasversale tra tutte le fasce di potenziali lettori interessati all’autismo e, più in generale, alla comunicazione umana, nei suoi aspetti normali e patologici.

Cominciamo a parlare della dedica: “A chi ha rispetto del mio tempo”.
Da molti anni, ormai, con l’intensificarsi delle mie attività e di ritmi di vita sempre più frenetici, durante i quali cerco comunque di continuare a rendermi ugualmente disponibile con chi vuole parlarmi sia telefonicamente che negli inevitabili prolungamenti delle visite, mi rendo conto di quanto sia prezioso il tempo, e di quanto, purtroppo, la gente non lo consideri. Ognuno cerca di attingere quanto più può del mio tempo, fregandosene quasi sempre delle mie esigenze e di quelli che a loro volta possono aver bisogno della mia disponibilità. E’ emblematico il caso di chi, durante una visita, mostra evidenti segni di insofferenza quando rispondo al telefono e mi trattengo a dare risposte a chi, peraltro a sua volta, prolunga inutilmente e forzatamente i tempi di conversazione, per poi, una volta conclusa la visita, diventare quello che telefona e richiama alla prima occasione, per chiedere qualsiasi bazzecola che provoca perdita di tempo a chi intanto è passato davanti alla mia scrivania, e così via.  Ma comunque, e più in generale, avverto l’esigenza di trovare maggior rispetto del mio tempo da parte della gente.

Credo che nel suo “Autismi” si possano identificare due parti ben distinte: una di carattere più strettamente scientifico e tecnico, in cui parla diffusamente ed in modo aggiornato delle cause, dei sintomi, della diagnosi e delle terapie dell’autismo; l’altra, forse anche più accattivante e stimolante, in cui ha inserito considerazioni, commenti, articoli anche polemici, interventi di genitori, di gente che elogia o critica il suo lavoro, fino ad arrivare ad un capitolo dove si trovano aforismi che lei definisce collegabili alle sue esperienze ed alla sua attività.
 Sì, è così. In “Autismi” ho voluto fornire al lettore, prima un’ampia trattazione di taglio prettamente scientifico, per consentire di entrare in possesso di elementi chiari e inequivocabili (per quanto apparentemente complessi) sul tema delle funzioni comunicative e delle loro distorsioni con relative cause e meccanismi di innesco; quindi un’altrettanto ampia presentazione di una raccolta di scritti, interventi in web, articoli, estratti di discussioni e dibattiti, lettere di genitori, di terapisti, racconti di aneddoti, citazioni di aforismi… che concorressero e contribuissero ad aprire il più possibile una finestra sul mondo degli autismi ed altre problematiche ad essi collegate.

“Autismi” non è però un libro che parla solo dell’autismo.
Non si parla solo di autismo, ma di ipercinesia, deficit attentivo, epilessia, paralisi cerbrali, sindrome di Down, ritardi di linguaggio, disturbi di apprendimento, psicosi dell’infanzia, dell’adolscenza e dell’età adulta. Si parla di medici, di errori, di decisioni che definisco scandalose, si parla di leggi, di scuola, di insegnanti, di famiglie… Insomma, “Autismi” non è un libro di sola medicina per soli addetti ai lavori.

Oltre che di terapie, lei parla anche di terapisti, dedicando loro ampi spazi.
Eh, sì, perché i terapisti, nel bene e nel male, sono i protagonisti degli interventi rimediativi verso le patologie della comunicazione, e quindi anche verso gli autismi. In venticinque anni di carriera, posso affermare senza mezzi termini, di aver incontrato più terapisti mediocri e deludenti che terapisti brillanti e validi. Questo, la gente deve saperlo. Deve essere chiaro da quali e quanti livelli scadenti bisogna stare alla larga se si vuole offrire a un bambino ciò che di meglio può servirgli per combattere il suo handicap. Nel mio libro riporto alcuni tra gli episodi più significativi che fanno comprendere il mio punto di vista su chi vale e su chi, come ho scritto in un paragrafo, “farebbe meglio ad andare a lavare i vetri delle auto ai semafori”.

Torniamo al capitolo sulle cause: in un’ampia prima parte, lei elenca tantissime cromosomopatie che possono essere responsabili di inneschi più o meno diretti di autismo. Sembra un’elencazione noiosa e di difficile lettura, invece risulta essere un preziosissimo punto della situazione su ciò che di genetico è stato già identificato come primo anello di una complessa catena che può generare tante forme di autismo, e vi aggiunge anche un significativo numero di casi rientranti tra le sue osservazioni personali...
Quello della genetica è effettivamente un capitolo molto discusso. Da una parte credo sia necessario rendere ben chiare le premesse genetiche che possono stare alla base di un innesco diretto o di una predisposizione allo sviluppo di una sindrome autistica, soprattutto in risposta a quanti credono ancora che l’autismo sia il risultato di un disagio psicologico-relazionale; da un’altra parte ritengo altrettanto necessario chiarire che non ci sono soltanto cause genetiche alla base dell’autismo (come altri vorrebbero far credere), perché altrimenti non si spiegherebbe l’aumento esponenziale del numero di casi di questa patologia nel corso di pochi decenni, fenomeno non compatibile con una patogenesi soltanto genetica.

Sicuramente una delle parti più toccanti e più concreta del suo libro è quella delle testimonianze dei genitori. Si possono leggere tante storie veramente emozionanti, ma traspare anche la particolarità del rapporto che lei ha instaurato con tanti genitori e tante famiglie. Si rivolgono a lei più come ad un amico che come ad un medico. 
Quella è una delle parti del libro a me più care, e non perchè vi si leggono elogi e ringraziamenti per me e le terapiste del mio staff; ma perché vi sono raccolte testimonianze reali, di famiglie che descrivono il dramma dell’autismo dall’interno del loro dolore, delle loro esperienze, delle loro delusioni e dei loro successi. In molti casi si nota che ci si rivolge dandosi del “tu” tra me e loro. Nel corso degli anni, il rapporto con tante famiglie di bambini autistici che ho seguito, si è modificato, è evoluto, si è trasformato in amicizia, sana complicità, condivisione di lavoro e di emozioni. 

Alcuni degli argomenti che emergono leggendo il suo libro, toccano temi di carattere sociale ed economico: mi riferisco, ad esempio, al paragrafo “Genitori separati e interruzione delle cure”, o a quando discute degli interessi economici delle industrie del farmaco (sia in omeopatia che in allopatia),  o, ancora, degli interessi che promuovono alcune metodiche riabilitative.
Il dramma dell’autismo ha generato anche questo tipo di realtà. Mi è sembrato logico e più completo includere anche tematiche come quelle identificanti un divorzio che travolge anche il prosieguo delle cure per un bambino che ne ha bisogno, o come quelle relative ai legittimi dubbi che vengono a genitori che si sentono oggetto di autentiche campagne promozionali di vaccinazioni senza limiti o, al contrario, di complesse e costose cure (omeopatiche o allopatiche che siano) per disintossicare i bambini da eventuali danni da vaccino, o di campagne promozionali che sfiorano il fanatismo, a vantaggio di determinate metodiche riabilitative spacciate come uniche valide, quasi che tutto il resto del mondo fosse formato da ciarlatani.

Leggendo il suo “Autismi”, mi ha colpito, tra le altre, questa frase: “…mi sono chiesto quante volte il successo raggiunto da una famiglia nel recupero del proprio bambino con autismo, non rappresenti un’odiosa spina nel fianco di chi non ha ottenuto altrettanti risultati…”.
Ecco, qui si tocca l’aspetto più spinoso, più imbarazzante, diciamo pure più odioso dell’argomento autismi. Senza mezzi termini, sostengo che almeno una parte di quanti negano che si possa venir fuori dall’autismo, si pronunci così perché non è riuscita a risolvere il problema, o come terapista, o come genitore. Non voglio essere cattivo o severo con queste persone, però non posso neppure ammettere che si neghi che esistano bambini che hanno estinto la sintomatologia autistica, perché agendo in questo modo si diffonde negativismo, catastrofismo e scetticismo verso un tipo di intervento che, se condotto con tempestività e competenza, può cambiare la vita di tante famiglie. E non è giusto che queste famiglie debbano essere destinatarie di disinformazione, per motivi di ignoranza, rabbia o invidia.

giovedì 31 luglio 2014

Lettera aperta a pazienti e terapisti incivili

Lettera aperta a due categorie di persone scadenti: terapiste e pazienti che mi chiedono appuntamenti, e poi non si presentano, senza neppure avvisare della mancata venuta.
Accade spesso che ricevo telefonate di pazienti che vogliono prenotare una consulenza, talvolta manifestando anche esigenze particolari di orario, giorno, luogo (ho studi in diverse città), e che, nonostante la raccomandazione di avvisarmi in caso di “imprevisto”, non si presentano e non si degnano neppure di avvertirmi del loro cambio di idea e di programma.
Lo stesso succede con logopediste che chiedono colloquio per eventuali tirocini e collaborazioni professionali. Più di una volta ho ritagliato del tempo (sottraendolo ad altri e più fruttuosi modi di impiegarlo) per concedere loro appuntamenti ai quali non sono poi venute, e non hanno avuto la minima educazione di disdire tempestivamente l’impegno.
Agli uni come alle altre voglio esprimere il mio ufficiale disprezzo.
Il loro comportamento esprime una forma di inciviltà e maleducazione che non trova alcuna giustifica. Passi per il vero imprevisto, ma nella maggior parte dei casi, all’origine di questi comportamenti indolenti e irrispettosi, c’è un’inciviltà e una rozzezza che queste persone hanno nell’anima e nella loro totale diseducazione umana, sociale e culturale.
La mancanza di rispetto del tempo e del lavoro altrui, per me è una carenza mentale e sociale gravissima.
Ricordo un giorno in cui mentre salivo sul treno Verona-Milano, per andare ad effettuare l’unica (ripeto: unica) visita prenotata per quel giorno a Milano, telefonai istintivamente al numero della persona che aveva chiesto la consulenza (e che aveva detto di poter venire solo in quella data) per avere conferma del suo arrivo, e mi rispose che alla fine aveva deciso di non effettuare la visita. Ma non si era curata di avvisarmi! Intanto il treno era partito, ed io sprecai una mattinata per andare e venire da Verona a Milano senza più alcun motivo.
Ancora peggio al sud, dove tale malcostume si manifesta con frequenza maggiore.
Circa la metà delle visite prenotate non viene effettuata, e nella maggior parte dei casi, senza neppure una comunicazione di disdetta. Anche per queste circostanze avrei una grande aneddotica, ricordando tante volte in cui mi sono spostato da una città all’altra (es. Napoli-Salerno) o da uno studio all’altro, anche per una sola visita, senza badare alla non convenienza economica di un viaggio o di un grande spostamento, ma sempre convinto dell’importanza della professionalità e della disponibilità, al di là dell’aspetto pecuniario.     
Ovviamente il mio risentimento diventa tanto maggiore quanto a tanta professionalità e disponibilità si oppongono tanta maleducazione, cialtroneria, inciviltà.

venerdì 25 luglio 2014

Le Dr. Massimo Borghese...

Le Dr. Massimo Borghese, médecin-chirurgien, est spécialisé en oto-rhino-laryngologie et en phoniatrie. Il exerce son activité dans le cadre de la physiopathologie de la communication en travaillant sur le diagnostic et la thérapie des pathologies de type phoniatrique-logopédique, comme le syndrome autistique, les retards du langage et de la communication, les troubles de l’apprentissage (dyslexies, dysgraphies, dyscalculies), les troubles de l’attention, le bégaiement et les autres dysfluences verbales, les aphasies et les dysarthries, les surdités infantiles et de l’adulte, les troubles de la déglutition et de la mastication, les malocclusions dentaires, les syndromes de dyslalie organique, les troubles de la voix parlée, chantée et récitée.
CABINETS DE DIAGNOSTIC ET DE THERAPIE DE L’AUTISME
Italie:
Naples Milan  Vérone
Tél. +39 3404810840
Suisse :
Genève
Tél. +41 227513536

CABINET D’OTO-RHINO-LARYNGOLOGIE PHONIATRIE ET LOGOPEDIE
Italie:
Via Santa Lucia 36. 80132 Naples
Tél. +39 0817647097



domenica 20 luglio 2014

Bambino di tre anni, autismo in progress...

Riporto, in copia e incolla, eliminando solo i nomi identificativi delle persone, il contenuto di una mail inviatami da una terapista -ex allieva- di un’altra nazione. Ho scelto questo caso, perché identifica e consente di  generalizzare tante altre situazioni simili, e può quindi risultare utile a livello dimostrativo e informativo:
  
Caro Massimo,
Ho incominciato la terapia con un nuovo bimbo autistico di 3 anni e 4 mesi. La mamma pensa di farlo entrare in una scuola specializzata a settembre, ma esita. Io trovo che è un peccato farlo, perche il bambino è diagnosticato "autistico leggero". Ha una seduta di logopedia e una di psicomotricità a settimana. Va all'asilo. Dopo due incontri ho visto che il contatto oculare non c’è con gli estranei,  ma molto di più con la mamma; che l'attenzione è molto bassa; che non è verbale (pochi suoni, ma prima di un anno diceva papà e  mamma); che ha problemi di deglutizione; sa riconoscere le lettere delĺ’alfabeto (ho solo verificato le vocali per il momento), sa riconoscere i numeri da uno a cinque, sa togliersi le scarpe e la giacca. Ogni tanto produce parole spontaneamente ma non su domanda. Non ci sono stereotipie gestuali. Quando è contento dice rrrrrr in una maniera, e in un’altra quando non lo è. Comportamento ok anche con gli estranei.  La prima volta gli ho massaggiato le guance, il viso e mi prendeva le mani e mi guardava quasi contento, e mi massaggiava anche un po’ il viso! Sa dire no, ma non dice sì, neanche con la testa. Soffia in modo molto debole. Getta a terra gli oggetti. Associa oggetti e foto con difficoltà. Ha una motricità fine non adeguata alla norma per età.
Non riconosce le azioni (mangiare, dormire, bere) ne’  su foto, ne’ con gioco simbolico.
Che cosa ne pensi ? Anche se è un po’ difficile farsi un’ idea senza vederlo.  Può rimandare alĺ’anno prossimo la scuola specializzata?
La mamma è motivata. Me lo porta due volte la settimana.

La mia risposta:

Cara…,
dalla tua descrizione si potrebbe effettivamente dedurre che si tratti di un "autismo leggero". "Leggero", perchè il bambino, in una sintomatologia che potrebbe definirsi autistica, mostra qualche segno che non è di autismo. Ma forse sarebbe il caso di dire <<qualche segno che non è "ancora" di autismo>>. Infatti a tre anni accade spesso di vedere situazioni che poi nei mesi successivi peggiorano. Autismi che inizialmente appaiono come leggeri, ed invece dopo poco tempo diventano sempre più pesanti. Ovviamente, una evoluzione sfavorevole non è prevedibile in ogni singolo bambino di cui si comincia a parlare, ma in questo l'esperienza può aiutarci ricordandoci quanto si osserva nella maggior parte dei casi, in cui quei sintomi invece di ridursi, aumentano e portano verso stati di autismi più profondi.
Il consiglio che credo di poterti dare è quello di informare i genitori delle possibili evoluzioni peggiorative della situazione, e proporre tutti i provvedimenti che possono servire, con tempestività e intensività.
Da parte mia, resto a disposizione per qualsiasi aiuto e intervento.
Un caro saluto.



Scrive un insegnante di scuola dell'infanzia

Gentile Dott. Borghese, sono una insegnante di scuola dell'infanzia, e molto tempo fa ho avuto modo di conoscerla prima attraverso un sito, successivamente sulla sua pagina. La contattai anni fa per chiederle informazioni e suggerimenti su un bambino che frequentava la mia classe e che aveva gravi problemi di linguaggio; sapevo che bisognava intervenire al più presto, e spesi un anno a convincere la madre a portarlo da lei, certa che avrebbe risolto il problema. Oggi, a distanza di 5 anni, incontrando la madre di questo bambino, ho ricevuto i ringraziamenti per essere stata così odiosamente insistente. Mi ha ringraziato dicendomi che se non avessi così insistito, oggi la loro vita sarebbe stata diversa. Ovviamente il merito, caro dottore,  è tutto suo e delle sue terapiste. Io ho fatto solo da tramite e cercato di supportare il vostro lavoro.  Era doveroso farla partecipe di questo successo. Unico rammarico...non essere riuscita ancora a frequentare i suoi corsi.              Un caro saluto.

domenica 29 giugno 2014

Pronto, Dottore? Mio figlio è intelligentissimo...

Molte persone, al momento della prenotazione di un consulto, a tutte le altre notizie di più immediata utilità (quali il nome, la città di provenienza, le indicazioni essenziali per capire se si tratta di una visita otorinolaringoiatrica, o foniatrica per la voce o per il linguaggio...), antepongono un chiarimento o una frase autorassicurante che, non solo non mi serve per capire sia pure in linea generale che tipo di visita devo prenotare, ma, al contrario, mi insospettisce ancora di più sulla vera natura del disturbo o comunque mi fa pensare che non sarà facile far comprendere subito le informazioni che necessiterà spiegare.
Due esempi tipo:
Il primo, riferibile alla evenienza più grave, è identificabile in questa modalità di presentazione:
...al telefono... “Pronto dottore, volevo dirle che mio figlio è intelligentissimo...”. “Beh, e allora perchè mi ha chiamato? Per dirmi questo?”, replico io.
“No, è intelligentissimo, capisce tutto, però non parla, sfarfalla con le mani, tende a isolarsi, non guarda negli occhi...” ... e via così descrivendomi quello che sembra essere già un quadro di autismo!
Altri esempi, riferibili a situazioni meno gravi:
“Mio figlio non pronuncia bene alcune lettere a causa del bilinguismo di noi due genitori”, oppure: “Il mio bambino parla poco perchè si è ingelosito in seguito alla nascita del fratellino”...
... insomma, descrizioni di sintomatologie con inclusa l’ipotesi diagnostica!
Ciò che accomuna -in negativo- questi tipi di dichiarazioni, è, a mio parere, la velata / quasi inconscia percezione o paura di avere già qualcosa di più impegnativo o grave di quel che si sta descrivendo. E fin qui, si potrebbe dire che si tratta di un fenomeno comprensibile ed umano. Purtroppo però -e qui parlo per lunga esperienza- persone che approcciano in questo modo il proprio problema o quello dei propri figli, si dimostrano spesso (per fortuna non sempre) poco propense ad accettare le vere motivazioni che in occasione della visita vengono poste come interpretazione delle cause del problema evidenziato, con conseguente frequente rifiuto anche dei rimedi suggeriti, perchè non consoni alla misura ridotta o preliminarmente prescelta nel presentare la patologia.

sabato 14 giugno 2014

Audio Psycho Phonologie

Mi ha scritto la mamma di un ex autistico

Sms inviatomi dalla mamma di un ex autistico di diciotto anni, studente del penultimo anno di liceo:
"Sempre più verso la sana normalità... Mio figlio ha avuto un debito in fisica. Normalmente incazzati! Baci".
Ovviamente ho omesso il nome del ragazzo e la firma della madre. Ma come sono contento di vedere situazioni di normalità in ragazzi che nell'infanzia furono diagnosticati autistici, e dopo tanto lavoro e terapie ben condotte, sono venuti fuori da quella situazione!

sabato 31 maggio 2014

"Dottore, nostro figlio non parla ancora"

“Buongiorno Dottore”.
“Buongiorno signori, perché siete qui?”.
“Perché il nostro bambino che ormai ha quasi tre anni, non parla, riproduce solo poche paroline di due sillabe, ma ci preoccupa anche perché gioca poco o nulla con gli altri della sua età, e tende a stare sempre da solo”.
“E’ la prima volta che consultate un sanitario per questo problema?”.
“A dir la verità ci eravamo rivolti al pediatra già un anno fa, perché anche allora il nostro bambino non parlava, ma il pediatra ci ha detto di non preoccuparci, perché non tutti i bambini sono uguali, e ognuno ha i suoi tempi. Ma noi ora siamo preoccupati, e di nostra iniziativa siamo venuti da lei, specialista foniatra”.
“E avete fatto bene, perché, ancora prima di vedere vostro figlio, vi dico subito che non è esatto affermare che ognuno ha i suoi tempi. I tempi di normalità esistono, e se non vengono rispettati, significa che qualcosa non sta procedendo nel verso giusto”.
“Noi temiamo che il nostro bambino stia sviluppando l’autismo; ma anche in questo c’è chi ha affermato che a due o tre anni è presto per parlare di autismo”.
“E io invece contesto anche questa affermazione, perché per definizione l’autismo insorge entro i trenta mesi di vita. E’ una definizione che non ho deciso io, ma universalmente riconosciuta e scritta nel nomenclatore ufficiale mondiale delle patologie neurologiche e psichiatriche. Dunque, non si può dire che esista un presto per diagnosticare o almeno ipotizzare una diagnosi di autismo. Anzi, più presto si provvede, soprattutto con la terapia, maggiori possibilità di successo si hanno”.
“Ma come si fa a diagnosticare l’autismo?”.
“La diagnosi di autismo è soprattutto una diagnosi clinica, basata cioè sul riscontro della presenza dei sintomi tipici di questa patologia, quali la mancanza di linguaggio o la sua presenza in forma molto ridotta e distorta; l’evitamento del rapporto con altre persone; la tendenza all’isolamento; la presenza di stereotipie, cioè movimenti ripetuti continuamente e senza un fine; la mancanza di contatto oculare; il ritardo di acquisizione delle autonomie fondamentali; e a volte l’ipersensibilità verso rumori, o luci, o contatti con la pelle; a volte l’impaccio motorio; a volte l’aggressività verso se stessi o verso gli altri.”
“Di tutto ciò che ha elencato, nostro figlio ha tutti i sintomi, tranne l’aggressività. Dunque lo si può considerare nello spettro autistico?”.
“In base a queste premesse, direi di sì; comunque adesso vorrei visitarlo personalmente ed esprimermi con una maggiore disponibilità di informazioni”.
“Che cosa gli farà? In che consiste la visita?”.
“Come vedete non indosso camici o abbigliamento che riporta all’ambiente ospedaliero; adesso mi seggo a terra di fronte a lui e comincio a cercare di interagire, tentando di agganciare il suo sguardo, attirando garbatamente la sua attenzione con un giocattolo o semplicemente toccandogli le mani per poi instaurare un contatto anche fisico; e via via cerco di proporgli qualche verbalizzazione invitandolo a chiamare voi genitori o a ripetere primi semplici modelli verbali… Ovviamente non basterà solo questo, ma comincio a farmi un’idea della situazione, perché se i primi segni sono evidenti, vi suggerirò di portarlo subito in terapia”.
“Ma ci hanno detto che se un bambino non è collaborante non gli si può insegnare a parlare”.
“Altro errore anche questo! Quale bambino di pochi anni di età con un piede o entrambi nell’autismo, risulterebbe collaborante? Sono i terapisti che devono coinvolgerlo e renderlo recettivo al loro intervento, e anche se questo non avviene (almeno apparentemente) bisogna comunque agire, perché solo ciò che viene realizzato nei primissimi anni di vita può sortire effetti concretamente favorevoli”.
“Dunque ci sono speranze per il nostro bambino, che un domani possa parlare e diventare come gli altri?”.
“Più presto si comincia a lavorare, più si lavora, più speranze di recupero ci sono. Ricordatelo sempre, e non date ascolto a chi minimizza il problema e vi invita a rinviare l’inizio di un percorso abilitativo”.


Avete letto il contenuto-tipo di una delle più frequenti situazioni che si verificano quasi quotidianamente nei miei studi di consultazione.


Aggiungo un articolo pubblicato nel 2009, e tutt'ora presente in molti siti e blog, data la sua perenne attualità:

LOGOPEDIA? NON E’ MAI “PRESTO”!
In riabilitazione non esiste il “presto”.
Purtroppo, spesso, c’è ancora il “tardi”.
Partiamo da queste due brevi frasi per cercare di capire che cosa di assurdo e dannoso accade ancora in Italia nella gestione terapeutica abilitativa dell’handicap (e chiamiamolo con il suo vero nome, senza penose perifrasi).
Nella maggior parte dei casi, chi si rivolge con un bambino di pochi anni di età, agli operatori -che sarebbe più consono definire “burocrati” delle asl- preposti all’erogazione delle sedute di riabilitazione, si sente rispondere che è ancora “presto” per avviare un trattamento logopedico, e che il bambino deve prima maturare determinate capacità attentive, cognitive, relazionali…
Non a caso non ho specificato con quale tipo di patologia viene avanzata una richiesta di logopedia poi disattesa da chi dovrebbe invece accoglierla. Non l’ho specificato perché la necessità di un intervento tempestivo, direi anche immediato, vale per tutte le situazioni in cui è richiesto un trattamento abilitativo. E’ comprensibile, poi, che tale necessità diventi ancora più pressante se si parla di sordità profonda, di autismo, di paralisi cerebrale.
La situazione di mancata tempestiva erogazione di trattamenti precoci, viene poi ulteriormente aggravata dall’ignoranza in materia di numerosi appartenenti ad altre categorie professionali, primi tra i quali, i pediatri ed i logopedisti stessi, di cui molti sono i primi a non sapere quanto sia importante agire al più presto per ottenere risultati determinanti per il recupero di un handicap.
Alla base di queste gravi mancanze io vedo la disinformazione, la presunzione (strettamente collegata all’ignoranza), la mancanza di volontà di studiare, aggiornarsi e mettersi costantemente in discussione.
Basterebbe che i pediatri di base, i burocrati delle asl, i logopedisti che vivono esclusivamente per attendere lo stipendio di fine mese, si documentassero su quali sono tutti i campi di azione della logopedia, e su quali brillanti risultati si possono ottenere lavorando precocemente, intensamente, ed in modo competente su qualsiasi tipo di handicap, per veder cambiare significativamente le possibilità di recupero di tanti bambini.
L’assurdo è che al giorno d’oggi, molti preferiscono ancora negare l’esistenza di clamorosi recuperi nel campo dell’autismo e delle paralisi cerebrali, definendo visionari e bugiardi quelli che li ottengono e lo rendono noto, piuttosto che guardarsi intorno e constatare ciò che invece è possibile ottenere operando tempestivamente, alacremente e con professionalità. Ma tutto ciò è scomodo. Scomodo per gli “erogatori” da scrivania e per i pediatri di base, che dovrebbero alzarsi dalle loro poltrone, uscire dagli uffici, ed andare a toccare con mano i successi di chi lavora applicando i criteri di tempestività e competenza; scomodo per i logopedisti e per gli altri terapisti che hanno come obiettivo unico il suddetto stipendio fisso e non certo la qualità del lavoro, il cui incremento comporterebbe anche un aumento di impegno, di sforzi, nonché di aggiornamento. Certamente è più facile trattare il bambino con qualche difetto di pronuncia, o con ritardo al quale non sono state date speranze, piuttosto che rimboccarsi le maniche su una paralisi cerebrale o su un autismo caso mai aggravato anche da comportamenti aggressivi…
Per quanto riguarda l’ignoranza su ciò che realmente può essere trattato con la logopedia (ignoranza che mai, comunque, è giustificabile), va detto che ancora oggi la logopedia viene vista -o la si vuole vedere- soltanto come una possibilità di correzione di un linguaggio già esistente, e preferibilmente da realizzare su di un bambino che sia tranquillo e collaborante. E questo è l’errore (in buona parte voluto) più diffuso anche tra gli stessi logopedisti; errore che preclude i maggiori e più importanti recuperi nell’ambito delle patologie più impegnative.
Logopedia non è dunque soltanto un aggiustamento di forme espressive già esistenti.
Un intervento foniatrico-logopedico correttamente inteso e realizzato, comprende una presa in carico globale di un individuo con problemi di comunicazione, laddove con questo termine intendiamo una serie di inadeguatezze riguardanti uno o più di uno tra i livelli percettivo, cognitivo, comportamentale, motorio-espressivo. Una presa in carico precoce, direi immediata, di un bambino danneggiato in una o più aree di quelle citate, può sortire effetti sorprendentemente brillanti. Una funzione percettiva, cognitiva, motoria… che è stata lesa, alterata, interrotta, ha tante maggiori speranze e possibilità di essere recuperata, quanto più presto, più intensamente e più adeguatamente si interviene per riattivarla e farla rifunzionare nella giusta direzione e nelle corrette modalità. E’ un principio fondamentale di ogni forma di riabilitazione, purtroppo ancora disatteso e tradito da tanti indegni operatori del settore.
Infine una nota di speranza anche per i soggetti di età più avanzata, a loro volta vittime di un luogo comune secondo il quale, oltre un certo numero di anni, non è più il caso di intervenire perché non ci sono possibilità di recupero (tra l’altro, a farci caso, quando il bambino è piccolo si dice che “è presto” per cominciare la logopedia; quando è più cresciuto, gliela si rifiuta perché “è tardi”). Nell’ultimo decennio, infrangendo questo diffuso atteggiamento non interventista, abbiamo aperto le porte della logopedia anche a pazienti di età adolescenziale e adulta, con esiti di paralisi cerebrale e sindromi autistiche. La piacevole sorpresa è stata quella di constatare che, pur non raggiungendo gli stessi brillanti risultati ottenibili con interventi realizzati su bambini di pochi anni di vita, tuttavia nei più cresciuti si riusciva comunque ad attivare funzioni (in alcuni casi anche quella linguistica) che solitamente si davano per irrecuperabili.
Necessiterebbe dunque un più equilibrato atteggiamento prognostico ed interventista da parte di chi opera nella riabilitazione, assumendo una posizione che, lungi dall’essere trionfalmente eccessivamente ottimistica, sia tuttavia più aderente ad una realtà arricchitasi della constatazione di brillanti successi raggiunti da chi, abbandonando atteggiamenti rinunciatari e sedentari, si è rimboccato le maniche dimostrando che lavorando tanto, presto e bene, si possono ottenere risultati che molti ritengono ancora impossibili.

Prof. Massimo Borghese - Foniatra

Attualità in tema di epidemiologia, diagnosi, prognosi e trattamento delle sindromi autistiche



Il grande aumento dei casi di autismo infantile in tutti i paesi del mondo, si presta inevitabilmente ad una revisione dei fattori epidemiologici, etiologici, clinici, prognostici, terapeutici, di una così complessa patologia intorno alla quale si sono sviluppati in questi ultimi anni numerosissimi approfondimenti spesso anche contrastanti tra loro in molti aspetti.
Al fine di cercare di dare un contributo alla ridefinizione delle sindromi autistiche, sotto tutti i punti di vista e di inquadramento, vorrei riportare, basandomi su rilievi estraibili da un arco di tempo di venticinque anni, alcuni elementi emersi da un’osservazione clinica, supportata da valutazioni statistiche e da follow up effettuati anche allo scopo di confermare o smentire quanto di volta in volta ipotizzato durante la mia esperienza diretta, o segnalato da altri ricercatori e operatori del settore.
I principali punti di riferimento per l’analisi in questione, sono riconducibili al complesso problema delle cause, dei meccanismi patogenetici, delle localizzazioni dei danni organici, delle manifestazioni cliniche, delle scelte e degli effetti delle terapie, non solo per avallarne o meno l’efficacia, ma anche per pronunciarsi in termini prognostici nei confronti di una patologia troppo spesso e talvolta affrettatamente definita come insormontabile e irrimediabile.
I risultati (da considerare mai definitivi!) di una lunga e approfondita serie di rilievi e analisi quali- quantitative, sono riassumibili per linee essenziali e per riferimenti di maggior interesse pratico, nei seguenti punti:
     Non è più possibile parlare di cause di autismo solo come innesco genetico. Malattie esclusivamente genetiche hanno andamenti epidemiologici costanti. L’aumento del 700% dei casi di autismo in tutti i paesi del mondo, disattiva di fatto la teoria che possa trattarsi di una patologia di sola origine genetica, spingendo a prendere in considerazione il concorso di fattori esterni, ambientali, alimentari, infettivi, tossici, farmacologici; e inducendo altresì a pensare anche alla “epigenetica”, ossia alle modifiche del patrimonio genico legate non alla trasmissione attraverso DNA, bensì all’effetto delle influenze ambientali. 
     Gli organi e apparati danneggiati nei diversi “autismi”, risultano essere soprattutto l’encefalo (cervello, cervelletto, tronco encefalico), il sistema digerente, l’apparato immunitario, il sistema endocrino; in misure e combinazioni diverse da caso a caso o almeno da gruppi di casi a gruppi di casi.
     Le manifestazioni cliniche delle sindromi autistiche hanno insorgenze molto precoci: dai primissimi mesi di vita nelle forme cosiddette primitive, ai quindici-diciotto mesi nelle forme cosiddette regressive. Ma in una situazione come nell’altra, non esiste un “presto” per pronunciarsi in senso diagnostico, e non vi possono essere ormai più giustificazioni per una ritardata diagnosi di autismo.
     Ne consegue la necessità di prese in carico terapeutiche immediate e precoci, senza rinvii inutili e dannosi. Statistiche alla mano, possiamo affermare che la maggiore percentuale di recuperi significativi di soggetti autistici, coincide con i parametri: immediatezza, intensività, qualità di intervento.
     In un’ampia e significativa percentuale di casi (tra il sessanta e il settanta), il ricorso a provvedimenti alimentari e a trattamenti biomedici, ha migliorato notevolmente le capacità di risposta dei soggetti autistici alle terapie abilitative riabilitative educative.
     Protagonista dei protocolli terapeutici deve essere l’intervento logopedico, da considerarsi fondamentale, improcrastinabile, e dunque non subordinato né nel tempo né nell’attesa di risultati, a qualsiasi altra forma di terapia. Affiancare, sì, ma non anteporre altri trattamenti rispetto a quello logopedico, da intendere peraltro nella sua piena realizzazione su tutti gli aspetti del profilo comunicativo: percettivo, cognitivo-integrativo, motorio-prassico-espressivo, relazionale-comportamentale.
     Non è vero che i sintomi dell’autismo non solo estinguibili. Trattamenti precoci, intensivi, competenti, possono consentire a un soggetto autistico, di diventare comunicativo, verbale, autonomo, socialmente compatibile, scolarizzabile, inseribile nel mondo del lavoro. Ciò non vuol dire il raggiungimento di una perfezione prestazionale o il superamento della patologia da parte di tutti; ma l’attuale provata e documentata esistenza di bambini riconosciuti inizialmente autistici, e migliorati al punto da aver estinto quelle sintomatologie, autorizza a credere e a investire in un lavoro di recupero a tutto campo, senza preclusioni e pregiudizi sulla sua possibilità di riuscita.
     Resta infine un tema aperto e da approfondire nel tempo: il nesso tra autismo infantile, sua evoluzione nell’adolescenza, e psicosi dell’età adulta. Analisi e verifiche retrospettive ci autorizzano a ipotizzare legami tutt’altro che trascurabili tra autismo (e altre psicosi dell’età evolutiva) e patologie psichiatriche dell’età adulta. Da qui, l’invito ad altri studiosi della materia, a orientare anche in questa direzione le loro ricerche.