venerdì 6 maggio 2016

La logopedia che non vorrei più vedere


La logopedia che non vorrei più vedere è quella ancora considerata come un semplice correggere difetti di pronuncia a bambini che non parlano; quella che ignorando i principi basilari di se stessa, ignora che deve essere indicata, prescritta, e utilizzata anche e soprattutto per bambini che non hanno ancora sviluppato linguaggio, e non solo per bambini che parlano male.
La logopedia che non vorrei più vedere è quella che si allinea con quanti affermano che “è presto” per cominciare, o che occorre prima che un bambino diventi attento e partecipe, per poi avviare il lavoro sul linguaggio.
La logopedia che non vorrei più vedere, è quella che viene erogata con il contagocce, in misura di una, massimo due sedute settimanali, a bambini con gravi ritardi della comunicazione, con autismo, paralisi cerebrali, che necessiterebbero invece di tante tante ore settimanali di logopedia.
La logopedia che non vorrei più vedere è quella effettuata da terapiste che, con tanto di camice bello e stirato, si limitano a seguire bambini con disturbi dell’apprendimento, dichiarando di essere “specializzate” in quel settore, ma risultando completamente restie e incapaci a mettere anche un solo dito nella bocca di un bambino per impostargli un fonema, o per insegnargli a masticare e a deglutire.
La logopedia che non vorrei più vedere è quella che rifiuta di offrirsi ai bambini con autismo, ignorando che i più grandi risultati nel recupero degli autistici sono arrivati proprio da quelle (purtroppo poco numerose) logopediste che invece hanno lavorato presto e molto, nei primissimi anni di vita di bambini affetti da tale patologia.

La logopedia che non vorrei più vedere è quella che critica i trainers vocali bravi, proponendosi, di contro, con arroganza, supponenza e ignoranza, provocando più danni che benefìci ai cantanti sui quali vuol mettere mano senza competenze né musicali né di altre tecniche utili a questo tipo di lavoro.
La logopedia che non vorrei più vedere è quella che utilizza ancora sacchetti di sabbia, voluminosi libri, o pesi di ogni genere, per appesantire l’addome del malcapitato cantante o allievo che sia, imponendogli faticose escursioni inspiratorie ed espiratorie, ignorando che questi sistemi ormai obsoleti, sono stati superati da modelli di intervento più leggeri e dinamici.
La logopedia che non vorrei più vedere è quella che tratta i disturbi della voce utilizzando ancora candele sulle cui fiammelle far soffiare il malcapitato cantante o semplicemente soggetto con disturbi di voce, aumentando così solamente la costrizione a valle dello sforzo laringeo, ignorando, come sopra, che si tratta di sistemi obsoleti e sconfessati dall’esperienza di chi veramente sa come si approcciano le disfonie.
La logopedia che non vorrei più vedere è quella che innesca tensioni muscolari anziché opportuni interventi rilassanti e muscolarmente armonizzanti nei professionisti della voce.

La logopedia che non vorrei più vedere è quella che si veste di presunzione, di arroganza, che si arrocca su convinzioni più teoriche che pratiche, o si fossilizza su modalità operative rimaste in un passato superato, ma ancora vissuto da chi, con ignoranza, indolenza e supponenza, ignora tutto ciò che di nuovo e di valido sia stato scoperto e già da tempo utilizzato con successo. 
  

5 commenti:

  1. Allora concordo su tante cose che lui dice ma ahimè' caro Dottore spesso non e' colpa delle logopediste se si inizia tardi. Da mamma le posso dire che conosco milioni di mamme che hanno iniziato tardi a causa dei medici. Pediatri, medici di famiglia o foniatri che suggerivano alla mamma di prendere dei calmanti perché' stressate e sottovalutavano i problemi del bambino. Ho tante amiche che hanno iniziato la logopedia tardi perché' dalla famiglia ai medici veniva consigliato di aspettare, aspettare, aspettare e cosi' un bel giorno si sono trovati un bambino congravi problemi di linguaggio. Concordo sul fatto che si debba lavorare con tantissimi bambini anche con grossi problemi come l'autismo. Sono pero' dell'idea che voi come medici dovreste essere i primi a sbatter fuori quello logopediste che come dice lei sono li con il camice bianco ma non sanno come lavorare. Ci sono logopediste nella aziende ospedaliere che rovinano i bambini e cosi' molti sono poi costretti a pagare a vita una logopedista. Non concordo neanche sulla sua teoria della logopedia giornaliera. E' proprio dimostrato che la logopedia e' un esercizio per i genitori e non per i bambini per cui non serve a nulla la logopedia tutti i giorni e a vita neanche in casi gravissimi. Conosco bambini all'estero autistici che fanno terapia ogni due settimane son risultati ottimi ma e' la qualità' che conta e non la quantità'. Diciamo che una cosa molto grave e' chi usa il proprio lavoro per convincere i genitori che se non si fa terapia tutti i giorni il bambino non parlerà' mai. Ma dove? Non e' vero e lo dice una mamma di due bambini con Cochlear Implant che hanno fatto terapia in US e UK e sempre e solo una volta ogni due settimane. Il lavoro caro dottore e' tanto nella mani dei genitori.

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    1. A mia volta sono d'accordo con Lei, cara Signora, su tanti punti. Certo che non è colpa solo delle logopediste, certo che sono anche i medici (compresi alcuni foniatri) a non capire la necessità dell'intervento precoce e competente.
      Sbattere fuori le logopediste incapaci e non consapevoli di quel che dovrebbero fare? Ma certo che le sbatto fuori, e sono più numerose quelle che mi detestano per questo, di quelle che mi amano per il lavoro e la valorizzazione che offro loro.
      Vorrei però segnalarle che anche all'estero si vedono spesso situazioni del genere. Non si spiegherebbe infatti perché sono stato chiamato ad esportare il mio modello di intervento in tanti paesi, se fossero auto organizzati nel migliore dei modi. E non parlo di nazioni arretrate, ma di Francia, Svizzera, Lussemburgo,
      Marocco, dove logopedisti e altre figure del campo ce ne sono, ma spesso con la stessa mentalità ristretta e poco interventista.
      Un'ultima considerazione sul numero di terapie settimanali: non c'è una regola o un numero in assoluto, ma credo sia innegabile dover lavorare il più possibile per abilitare un bambino che non ha raggiunto determinate capacità linguistiche, motorie, percettive, integrative, relazionali... Che poi questo lavoro possa distribuirsi in diversi modi tra terapisti e famiglia, siamo d'accordo. Ma comunque deve essere tanto.
      Un cordiale saluto, e grazie per aver replicato alle mie esternazioni.

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  2. Carissimo Dottore,
    anche io,da logopedista,non vorrei vederla più questa logopedia, a partire dall'universitá,che spesso le restringe le menti invece di aprirle a una formazione di base sensata! Non vorrei piú vederla,ma soprattutto,non vorrei mai farla io....proprio per questo fortunatamente molte di noi sono sempre spinte a migliorarsi,ad impegnarsi, a studiare,ad aggiornarsi seriamente (non ad accumulare crediti) nonostante le scarse possibilitá o precarie condizioni in cui spesso ci ritroviamo nei luoghi di lavoro...perché ció che ci spinge è qualcosa di altro, è proprio (mi lasci dire)l'amore per quella logopedia che vorremmo vedere! E oltre a questa,io vorrei vedere tanti foniatri che si impegnano altrettanto nel proprio lavoro in sinergia con noi logopediste, in primis soprattutto vederli i foniatri,perché sembra che siano nascosti o una specie rara.
    Buon lavoro,
    E che vinca il confronto!

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    1. Carissima Chiara, concordo pienamente con lei, anche quando si riferisce a foniatri latitanti sul piano degli interventi professionali, che dovrebbero essere più concreti, competenti e decisi. Estendendo un po' a tutti i livelli, il contenuto delle sue considerazioni, arriverei a parlare di una sorta di partito trasversale di professionisti che mettono amore, dedizione, impegno e sacrificio, nel modo di lavorare nelle rispettive aree di competenza. Personalmente (come è noto a tutti quelli che mi conoscono) lascio sempre le porte aperte a chi vuole venire ad aggiornarsi, studiare, confrontarsi, proprio perché credo nell'importanza e nell'alto significato del nostro lavoro. Ma le delusioni sono tante; è costante il riscontro di una mediocrità diffusa, che non porta quasi mai -logopedisti, foniatri e altri operatori- oltre il minimo sforzo e impegno, con le conseguenze che ho sintetizzato e descritto nell'articolo sicuramente molto critico verso un certo tipo di logopedia, ma che può valere nella stessa misura per foniatri, neuropsichiatri, pediatri, e così via dicendo...
      Ogni professione può essere esercitata su diversi livelli. Purtroppo prevalgono quelli ispirati dalla mediocrità e dal contentarsi del poco (pochissimo) che si può avere. Ed io li critico e li contrasto, perché ai destinatari del nostro lavoro, non si può offrire il minimo e il mediocre. Questa e la mia mentalità, e se ogni tanto emerge qualcuno che la pensa, e soprattutto agisce allo stesso modo, ne sono ovviamente contento.

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  3. Dottore vorrei farle una domanda..mia figlia a detta della logopedista pronuncia la S e la Z male.il nostro foniatra che la segue dalla nascita per una schisi del palato molle dice che è un problema meccanico e non serve logopedia..il dentista questa sera mi dice che serve logopedia....lei cosa ne pensa

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