domenica 13 maggio 2018

STORIE DI AUTISMI. Durata della lettura:10 minuti. Se non li avete, non leggetelo


STORIE DI AUTISMI
Sottotitolo: Storie di coraggio, di paura, di disonestà mentale, di capacità di vincere


Trenta anni di attività di diagnostica, ricerca, terapie, verifiche, conferme, smentite, successi, insuccessi, nel campo dell’autismo, credo che mi autorizzino a raccontare e soprattutto commentare alcuni episodi accaduti in questi ultimi giorni. Poi, a pensarci meglio, direi che avrei ugualmente scritto ciò che sto per divulgare, tanto tempo fa, come oggi, perché ho sempre agito con la stessa mentalità, anche quando ero giovane e a inizio carriera.  Scopo di quanto sto per riportare, è offrire un aiuto a chi vuole informazioni corrette e oneste in tema di autismo, soprattutto in riferimento alle possibilità di precoce identificazione e di superamento di tale patologia.

La prima storia è quella di una famiglia che sta intraprendendo iniziative per divulgare, attraverso organizzazioni di spettacolini e conferenze, messaggi di negatività sull’autismo, per sottolinearne l’inguaribilità e la catastrofica ineluttabilità. Più volte mi sono espresso al riguardo, affermando che anche se tecnicamente si potrebbe parlare di mancata guarigione anatomopatologica, tuttavia il superamento e l’estinzione di tanti sintomi tipici dell’autismo, possono autorizzare a dire che in molti casi quel quadro clinico non ci sia più. Mi riferisco a bambini non comunicanti e non parlanti che hanno poi imparato ad aprirsi agli altri e a comunicare attraverso il linguaggio; bambini che si isolavano e ora non sono più isolati; che erano violenti verso se stessi e verso gli altri, e ora non lo sono più; che non erano autonomi e ora lo sono…; insomma pazienti che hanno estinto i sintomi appartenenti alla sfera autistica. Esistono, non sono affatto pochi, e sono tutti documentati, con referti di diversi specialisti, video, testimonianze e dichiarazioni della famiglie stesse, oltre che del personale della scuola e sanitario. Praticamente, costituiscono una realtà, e non se ne può negare l’esistenza, non si può negare che siano passati da uno stato autistico a uno non autistico. Mi ricollego, ora, all’iniziativa della famiglia cui accennavo prima, famiglia di un ragazzo adolescente autistico, non uscito dall’autismo, per cui -a questo punto deduco- i genitori hanno ben pensato di lanciare una campagna che intitolerei “Muoia Sansone e tutti i Filistei” (ricordate l’episodio e l’aneddoto?). Ho scoperto per caso l’esistenza di questa iniziativa vile e disonesta, quando sono stato interpellato, in quanto esperto della materia, per suggerire il testo di un breve intervento teatrale-divulgativo (una sorta di spot, per intenderci), che in sostanza veicolasse un messaggio di vittimistica presa di coscienza del dramma dell’autismo, visto soprattutto come malattia insuperabile. Atteggiamenti simili li avevo già trovati in vecchi presidenti e squallidi membri di note associazioni nazionali, i quali, fallito il recupero dei propri figli, avevano cominciato ad attaccare pubblicamente e attraverso i mezzi di (dis)informazione di cui disponevano, tutti gli operatori della riabilitazione che ottenevano -e giustamente lo rendevano noto- con il loro lavoro, risultati positivi nella lotta all’autismo.  Una lotta basata su un impegno duro e serio, studi, sacrifici, professionalità…; e tutti questi ottimi scienziati e terapisti, venivano definiti ciarlatani, stregoni o praticoni “non scientificamente validati”, venditori di fumo; laddove la loro validazione era già presente nell’evidenza dei risultati e dei loro successi. Ma questi successi diventavano specchio del fallimento di altri operatori e genitori i cui bambini, poi ragazzi, non erano stati recuperati, o comunque erano rimasti negli abissi dell’autismo. Tutte queste considerazioni mi sono ricomparse forti e chiari nella mente, quando la famiglia di cui sto parlando in questo racconto, ha intrapreso l’iniziativa di lanciare una campagna (evidentemente autoconsolatoria) sulla divulgazione dell’insuperabilità dell’autismo. Ho infatti ricordato che più di dieci anni fa, la nonna del bambino (oggi adolescente) in questione, mi aveva chiesto una visita per il nipotino di appena trenta mesi, con sintomi di incipiente autismo, o comunque di ritardo di linguaggio con strane altre manifestazioni; ma questa visita non avvenne mai, perché i genitori (consigliati da qualche benpensante altro sanitario) rifiutarono l’incontro con il sottoscritto foniatra, spesso descritto come un brutale emettitore di diagnosi che spaventano. Oggi quel bambino è un adolescente autistico per nulla recuperato, i cui genitori anziché recitare il “mea culpa”, preferiscono insabbiare e coprire la loro coscienza, prendendo iniziative divulgative che certifichino l’insuperabilità dell’autismo. Ciò che mi indigna e mi nausea, è la disonestà mentale e morale, che, fine a se stessa, potrebbe anche esistere, se utile per consentire a due genitori di autoilludersi; ma ciò che non va bene, è il voler divulgare questa visione catastrofista e negativa delle possibilità di superamento dell’autismo, perché (ed è facilmente intuibile) rischia di far credere che davvero sia così, soprattutto a famiglie che stanno domandandosi se e che cosa fare per aiutare il loro figlio autistico ad avere un futuro migliore.
In un’ottica diametralmente opposta a quella della prima storia, si colloca il caso di una bambina che oggi ha tre anni, con sintomi autistici sin dai primi mesi di vita, sintomi davanti ai quali i genitori non nascosero la testa sotto la sabbia, ma si attivarono subito per capire che cosa non funzionasse bene nella loro piccola. Dopo gli (ahimè rituali) inviti da parte di pediatri e altri sanitari consultati, a “non preoccuparsi”, ad “aspettare ancora un po’ tempo, perché ognuno ha i suoi tempi” (affermazione che non so se definire più idiota o ignorante), questi genitori coraggiosi quanto intelligenti, non si arresero ai superficiali consigli dei dissuasori, e continuarono a guardarsi intorno, giungendo alla mia osservazione e a qualche altro sanitario che non aveva paura di dire quel che vedeva, e ricevettero una diagnosi di autismo, per la loro bambina. Questa era arrivata all’età di due anni, e la famiglia decise di affidarla a me e al mio gruppo, accettando senza riserve e obiezioni, quanto suggerivamo, ma soprattutto mettendo in pratica tutto ciò che richiedevamo, avendo ben chiarito, come sono solito ripetere, che “senza i migliori terapisti non si ottengono risultati; ma anche se con i migliori terapisti, senza familiari che si adoperino costantemente e intensivamente, a proseguire il lavoro impostato e suggerito dai terapisti, ugualmente non si ottengono risultati”. Oggi questa bambina è già verbale, comunicativa, è perfettamente inserita nel gruppo scolastico, gioca, sorride e si relaziona. Il cammino è appena iniziato, c’è ancora tanto da ottenere, correggere, migliorare, ma se la piccola sta già venendo fuori dalle secche dell’autismo e sta navigando verso acque di una maggiore normalità, è perché la sua famiglia non molla per un attimo la presa. In questa storia voglio raccontare proprio qualche aspetto dei comportamenti dei genitori della bimba: - La conducono quasi ogni giorno a terapia presso il nostro centro (e non siamo nella stessa città), e per i due giorni della settimana in cui non vengono, hanno chiesto e ottenuto che una delle operatrici del gruppo, vada nella loro città seguendo la piccola a casa e a scuola, per non perdere la continuità terapeutica, e per generalizzare anche nei contesti esterni alle stanze di terapia, il lavoro svolto presso di noi. - Inoltre, ogni volta che suggeriamo di stimolare la bambina in un determinato modo per qualsivoglia tipo di apprendimento, questi fantastici genitori si organizzano per portarla, ad esempio, a un particolare tipo di parco giochi, se devono farla saltare a lungo, per stimolare un tipo di motricità suggerito in quel momento; o al mercato del pesce o dei fiori, per mostrarle dal vivo quelle varietà animali e vegetali di cui abbiamo parlato in terapia, e di conseguenza stimolando conoscenze e relative denominazioni e verbalizzazioni… (sono solo esempi tra le centinaia di situazioni che proponiamo venendo sistematicamente seguiti). - E ancora, la bambina è rigorosamente a dieta priva di glutine, caseina, soia, mais, come da noi consigliato, e come adottato con successo da migliaia di bambini autistici in tutto il mondo. Anche in questo caso, i genitori non sono stati fermi a perder tempo (come fanno ancora molti) a cercare qualcuno che definisse fandonie e stregonerie, le disposizioni alimentari (perché è più comodo non sacrificarsi a preparare cibi di meno facile realizzazione), ma -al contrario- si sono attivati per capire al meglio come alimentare la bambina secondo i criteri di intervento biomedico che, lungi dall’essere una fantasia (come da molti sbrigativamente affermato) aiuta invece a velocizzare i risultati della logopedia e dell’intervento educativo, rendendo un organismo più “ripulito” e meglio performante.
Tornando a storie di segno opposto, purtroppo fortemente negativo, riporto l’episodio di un uomo che ho trovato alcune settimane fa in sala di attesa, e che, presentatosi come padre di un ragazzo autistico di dodici anni che fino ad ora era stato trattato solo in psicomotricità ma non in logopedia (altro fenomeno che io definisco “orrore terapeutico”, quando non si avvia precocemente un intervento logopedico), senza mai progredire significativamente, mi ha chiesto un appuntamento per visitare il figlio. Poiché in quel momento stavo recandomi in un altro reparto per una pur breve consulenza, gli ho chiesto di pazientare un quarto d’ora e di attendere il mio ritorno che di lì a breve sarebbe avvenuto. Beh, dopo appena dieci minuti, al mio rientro, ho constatato che il signore in questione era già andato via. Mi ha poi ricontattato telefonicamente qualche giorno dopo, per fissare nuovamente l’appuntamento precedentemente richiesto. Lo abbiamo concordato per la settimana successiva; ma ecco che dopo meno di un’ora, mi ha ritelefonato per disdire l’appuntamento!
Storia analoga, è quella di una mamma di un ragazzo che sta seguendo con ottimi risultati il nostro lavoro terapeutico, la quale mi ha segnalato che un cugino del figlio ha problemi simili nello spettro autistico, e pertanto aveva consigliato ai genitori di contattarmi affinchè visitassi il bambino e mi rendessi disponibile per una sua presa in carico. Come nel caso precedente, l’appuntamento è stato fissato, ma il giorno successivo, la madre mi ha telefonato per comunicarmi che “il padre del bimbo sarebbe stato fuori per alcuni mesi, e lei voleva che fossero presenti entrambi i genitori alla visita, per cui al momento si disdiceva l’incontro. Due mie personali considerazioni - Se davvero tieni a tuo figlio e soprattutto tieni ad offrirgli una possibilità di rimedio ai suoi problemi, vieni ugualmente a visita anche senza il padre, e poi, nel caso, lo chiami e gli racconti che cosa è stato detto. - Che scarsa fantasia e credibilità nell’inventare scuse per sottrarsi a una diagnosi e a un programma terapeutico!
Ancora una storia in negativo. Ho letto recentemente su diversi giornali, che un cantante che ha un figlio autistico, ha reclamato ad alta voce, forte della sua notorietà, e attraverso gli organi di informazione, il problema della scarsa assistenza in Italia nei confronti di questo problema, definito, appunto, problema e non “malattia”, e supportando tale affermazione con l’opinione di un presunto esperto della materia che -evidentemente per captare benevolenza da parte di chi non vuol vedere la realtà, che è una realtà patologica- ha ribadito il concetto di autismo come situazione, non come malattia. E qui replico a voce ancora più alta e con maggiore veemenza. Fino a quando si continuerà a pretendere di indorare le pillole e negare l’evidenza dei fatti, non si troveranno neanche le vie di uscita. L’autismo è una malattia, anche grave, che colpisce più parti del corpo: il sistema nervoso centrale innanzitutto, e allo stesso tempo il sistema immunitario, endocrino, digerente… per definire i danni più immediati ed eclatanti. Fino a quando si parlerà di semplice “disagio psicologico”; fino a quando si continuerà a dipingere gli autistici come “meravigliosi bambini diversamente abili, ma ricchi di tanti contenuti”, si rimarrà sempre molto lontani dalla realtà e quindi dalle possibilità di rimedio. L’autismo, signori miei, è una maledetta malattia multisistemica, è una malattia del corpo, che porta tante disabilità, e non è una sindrome da Alice nel paese delle meraviglie o da modello Rain man! Ed è di conseguenza ovvio che la maggior parte dei centri preposti alla sua cura risultino inadeguati fino a quando saranno diretti da operatori come quello che sostiene che non si tratti di una malattia. Non ci si può illudere in modo autoconsolatorio (supportati da servi sciocchi che assecondano queste prese in giro) e poi protestare perché non ci sono strutture adatte per offrire un rimedi. Venite a vedere come sono migliorati e -perché no?- come sono stati anche recuperati i bambini i cui genitori anziché inscenare un vittimismo mediatico, sono venuti ad accettare di sentirsi dire ciò che realmente avevano i propri figli, e si sono rimboccati anche le maniche per lavorare per loro, al fianco dei terapisti ai quali li avevano affidati.
Altra “perla” nel campionario delle incertezze che però sconfinano nel ridicolo e nella mancanza di rispetto per il lavoro di un professionista, è quella di un genitore di un bambino già segnalato alcuni anni fa’ dal personale della scuola materna come sospetto autistico, che mi contattò per una visita alla quale non si presentò. Dopo circa due anni si rifece vivo chiedendomi un appuntamento. Il giorno fissato per la visita (e lo riporto anche: nove febbraio), non più di sessanta minuti prima dell’orario concordato, mi telefonò per annunciare che non sarebbe venuto. Il colmo si raggiunge il mese successivo (e questa è ormai cronaca di queste ultime settimane), quando mi pregò di dargli nuovamente un appuntamento. Ed ecco che, quando arrivò la data fissata (diciannove marzo), a meno di un’ora dal momento della visita, mi chiamò comunicandomi che, sceso di casa, aveva trovato la sua auto con ben due ruote bucate. Potrei definire inutile qualsiasi commento, ma credo di avere il diritto di servirmi di questo scritto, per esternare non solo il mio disappunto per comportamenti così assurdi, maleducati, e vili, ma soprattutto per dichiarare pubblicamente quanta pena mi fanno bambini che oltre ad aver avuto la disgrazia dell’autismo, hanno avuto la sventura ancor più grande di nascere da genitori come questi! 
Vorrei proseguire questa breve disamina di situazioni che meritano di essere presentate in parallelo, raccontando le storie di tre famiglie che mi hanno contattato da altri paesi: Marocco, Francia, Belgio. I genitori di tre bambini autistici di queste rispettive nazioni, giunti a conoscenza del mio lavoro e dei miei risultati, sono venuti nella mia sede di Napoli, non soltanto per farmi visitare i loro piccoli, ma soprattutto per seguire le nostre modalità di trattamento. Per lunghi periodi, trasferendosi e soggiornando nella nostra città (sicuramente accogliente e bella da visitare e vivere, ma comunque molto lontana dalla loro), hanno frequentato le cosiddette “full immersion” terapeutiche, consistenti in una serie ravvicinata e intensiva di sedute di trattamenti logopedici educativi comportamentali motori… come da nostre modalità di lavoro, coinvolgenti i piccoli pazienti ed i rispettivi familiari, istruiti e instradati il più possibile a gestire in prima persona le modalità di intervento, una volta rientrati nelle rispettive città, e prima di tornare da noi per le fasi successive del programma. Questi bambini hanno ottenuto e continuano a raggiungere brillanti risultati, ed è bellissimo quanto emozionante ricevere periodicamente dai loro paesi, i video che ci consentono di constatare come i genitori, i fratelli, le sorelle, i nonni, li stimolino, li spronino, ripropongano nella quotidianità delle loro case, delle loro scuole, dei loro parchi giochi… tutto ciò che hanno appreso per operare in continuità con i nostri interventi.
E’ ovvio che non sempre esistono le condizioni organizzative, economiche, logistiche, per arrivare a realizzare programmi estremi come quelli delle famiglie straniere sottopostesi a oneri eccezionali per tenere il più a lungo possibile i figli presso le nostre sedi. Da molte città italiane si muovono in molti per soggiornare periodicamente vicino ai nostri studi, per offrire lunghi periodi di trattamenti intensivi ai propri bambini. Ma l’importanza del racconto della loro storia, sta nell’intento di ribadire quanto sia fondamentale credere nelle possibilità di recupero, e soprattutto impegnarsi perché si operi a tale scopo. Atteggiamenti di fuga e vittimismo, atteggiamenti di rifiuto di una diagnosi scomoda, atteggiamenti di diffamazione e di tentativo di invalidazione dell’operato di chi ottiene risultati e dimostra che certe difficoltà si possono superare, costituiscono comportamenti non solo deprecabili, ma -mi spingo oltre con gli aggettivi- anche criminosi, cattivi, dannosi per la comunità scientifica (quella vera, non quella che si autodefinisce e si autovalida come tale), e dannosi soprattutto per coloro i quali, colpiti dal dramma dell’autismo, si guardano intorno per raccogliere informazioni, opinioni, testimonianze, esperienze di altri, per cercare di capire qualcosa in più su quanto è caduto sulle loro spalle, e soprattutto per cercare di individuare soluzioni che possano aiutarli a combattere il male che li ha colpiti. Mi chiedo se sia più “male” l’autismo, o la cattiva informazione che viene diffusa per motivi tutt’altro che nobili, ma dettati dalla paura, dalla vigliaccheria, dalla rabbia scaturita dall’insuccesso personale… 

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