"Un bambino su cento ha l'autismo". Ne parliamo in un'intervista-presentazione del libro:
https://www.youtube.com/watch?v=e2lV6ycH8tU&feature=youtu.be
lunedì 16 maggio 2016
venerdì 6 maggio 2016
La logopedia che non vorrei più vedere
La logopedia che non vorrei più vedere è
quella ancora considerata come un semplice correggere difetti di pronuncia a
bambini che non parlano; quella che ignorando i principi basilari di se stessa,
ignora che deve essere indicata, prescritta, e utilizzata anche e soprattutto per
bambini che non hanno ancora sviluppato linguaggio, e non solo per bambini che
parlano male.
La logopedia che non vorrei più vedere è
quella che si allinea con quanti affermano che “è presto” per cominciare, o che
occorre prima che un bambino diventi attento e partecipe, per poi avviare il lavoro
sul linguaggio.
La logopedia che non vorrei più vedere,
è quella che viene erogata con il contagocce, in misura di una, massimo due
sedute settimanali, a bambini con gravi ritardi della comunicazione, con
autismo, paralisi cerebrali, che necessiterebbero invece di tante tante ore
settimanali di logopedia.
La logopedia che non vorrei più vedere è
quella effettuata da terapiste che, con tanto di camice bello e stirato, si
limitano a seguire bambini con disturbi dell’apprendimento, dichiarando di
essere “specializzate” in quel settore, ma risultando completamente restie e
incapaci a mettere anche un solo dito nella bocca di un bambino per impostargli
un fonema, o per insegnargli a masticare e a deglutire.
La logopedia che non vorrei più vedere è
quella che rifiuta di offrirsi ai bambini con autismo, ignorando che i più
grandi risultati nel recupero degli autistici sono arrivati proprio da quelle
(purtroppo poco numerose) logopediste che invece hanno lavorato presto e molto,
nei primissimi anni di vita di bambini affetti da tale patologia.
La logopedia che non vorrei più vedere è
quella che critica i trainers vocali bravi, proponendosi, di contro, con
arroganza, supponenza e ignoranza, provocando più danni che benefìci ai
cantanti sui quali vuol mettere mano senza competenze né musicali né di altre
tecniche utili a questo tipo di lavoro.
La logopedia che non vorrei più vedere è
quella che utilizza ancora sacchetti di sabbia, voluminosi libri, o pesi di
ogni genere, per appesantire l’addome del malcapitato cantante o allievo che
sia, imponendogli faticose escursioni inspiratorie ed espiratorie, ignorando
che questi sistemi ormai obsoleti, sono stati superati da modelli di intervento
più leggeri e dinamici.
La logopedia che non vorrei più vedere è
quella che tratta i disturbi della voce utilizzando ancora candele sulle cui
fiammelle far soffiare il malcapitato cantante o semplicemente soggetto con
disturbi di voce, aumentando così solamente la costrizione a valle dello sforzo
laringeo, ignorando, come sopra, che si tratta di sistemi obsoleti e
sconfessati dall’esperienza di chi veramente sa come si approcciano le
disfonie.
La logopedia che non vorrei più vedere è
quella che innesca tensioni muscolari anziché opportuni interventi rilassanti e
muscolarmente armonizzanti nei professionisti della voce.
La logopedia che non vorrei più vedere è
quella che si veste di presunzione, di arroganza, che si arrocca su convinzioni
più teoriche che pratiche, o si fossilizza su modalità operative rimaste in un
passato superato, ma ancora vissuto da chi, con ignoranza, indolenza e
supponenza, ignora tutto ciò che di nuovo e di valido sia stato scoperto e già
da tempo utilizzato con successo.
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