Il grande aumento dei casi di autismo infantile in tutti i paesi del mondo, si presta inevitabilmente ad una revisione dei fattori epidemiologici, etiologici, clinici, prognostici, terapeutici, di una così complessa patologia intorno alla quale si sono sviluppati in questi ultimi anni numerosissimi approfondimenti spesso anche contrastanti tra loro in molti aspetti.
Al fine di cercare di dare un contributo alla ridefinizione delle sindromi autistiche, sotto tutti i punti di vista e di inquadramento, vorremmo riportare, basandoci su rilievi estraibili da un arco di tempo di venticinque anni, alcuni elementi emersi da un’osservazione clinica, supportata da valutazioni statistiche e da follow up effettuati anche allo scopo di confermare o smentire quanto di volta in volta ipotizzato durante esperienze dirette, o segnalato da altri ricercatori e operatori del settore.
I principali punti di riferimento per l’analisi in questione, sono riconducibili al complesso problema delle cause, dei meccanismi patogenetici, delle localizzazioni dei danni organici, delle manifestazioni cliniche, delle scelte e degli effetti delle terapie, non solo per avallarne o meno l’efficacia, ma anche per pronunciarsi in termini prognostici nei confronti di una patologia troppo spesso e talvolta affrettatamente definita come insormontabile e irrimediabile.
I risultati (da considerare mai definitivi!) di una lunga e approfondita serie di rilievi e analisi quali- quantitative, sono riassumibili per linee essenziali e per riferimenti di maggior interesse pratico, nei seguenti punti:
Non è più possibile parlare di cause di autismo solo come innesco genetico. Malattie esclusivamente genetiche hanno andamenti epidemiologici costanti. L’aumento del 700% dei casi di autismo in tutti i paesi del mondo, disattiva di fatto la teoria che possa trattarsi di una patologia di sola origine genetica, spingendo a prendere in considerazione il concorso di fattori esterni, ambientali, alimentari, infettivi, tossici, farmacologici; e inducendo altresì a pensare anche alla “epigenetica”, ossia alle modifiche del patrimonio genico legate non alla trasmissione attraverso DNA, bensì all’effetto delle influenze ambientali.
Gli organi e apparati danneggiati nei diversi “autismi”, risultano essere soprattutto l’encefalo (cervello, cervelletto, tronco encefalico), il sistema digerente, l’apparato immunitario, il sistema endocrino; in misure e combinazioni diverse da caso a caso o almeno da gruppi di casi a gruppi di casi.
Le manifestazioni cliniche delle sindromi autistiche hanno insorgenze molto precoci: dai primissimi mesi di vita nelle forme cosiddette primitive, ai quindici-diciotto mesi nelle forme cosiddette regressive. Ma in una situazione come nell’altra, non esiste un “presto” per pronunciarsi in senso diagnostico, e non vi possono essere ormai più giustificazioni per una ritardata diagnosi di autismo.
Ne consegue la necessità di prese in carico terapeutiche immediate e precoci, senza rinvii inutili e dannosi. Statistiche alla mano, possiamo affermare che la maggiore percentuale di recuperi significativi di soggetti autistici, coincide con i parametri: immediatezza, intensività, qualità di intervento.
In un’ampia e significativa percentuale di casi (tra il sessanta e il settanta), il ricorso a provvedimenti alimentari e a trattamenti biomedici, ha migliorato notevolmente le capacità di risposta dei soggetti autistici alle terapie abilitative riabilitative educative.
Protagonista dei protocolli terapeutici deve essere l’intervento logopedico, da considerarsi fondamentale, improcrastinabile, e dunque non subordinato né nel tempo né nell’attesa di risultati, a qualsiasi altra forma di terapia. Affiancare, sì, ma non anteporre altri trattamenti rispetto a quello logopedico, da intendere peraltro nella sua piena realizzazione su tutti gli aspetti del profilo comunicativo: percettivo, cognitivo-integrativo, motorio-prassico-espressivo, relazionale-comportamentale.
Non è vero che i sintomi dell’autismo non solo estinguibili. Trattamenti precoci, intensivi, competenti, possono consentire a un soggetto autistico, di diventare comunicativo, verbale, autonomo, socialmente compatibile, scolarizzabile, inseribile nel mondo del lavoro. Ciò non vuol dire il raggiungimento di una perfezione prestazionale o il superamento della patologia da parte di tutti; ma l’attuale provata e documentata esistenza di bambini riconosciuti inizialmente autistici, e migliorati al punto da aver estinto quelle sintomatologie, autorizza a credere e a investire in un lavoro di recupero a tutto campo, senza preclusioni e pregiudizi sulla sua possibilità di riuscita.
Resta infine un tema aperto e da approfondire nel tempo: il nesso tra autismo infantile, sua evoluzione nell’adolescenza, e psicosi dell’età adulta. Analisi e verifiche retrospettive ci autorizzano a ipotizzare legami tutt’altro che trascurabili tra autismo (e altre psicosi dell’età evolutiva) e patologie psichiatriche dell’età adulta. Da qui, l’invito ad altri studiosi della materia, a orientare anche in questa direzione le loro ricerche.
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