venerdì 17 giugno 2016

Negligente ripetitività “internazionale”

Ginevra, un giorno di maggio.
Eccomi di nuovo, come ogni mese, una settimana al mese, ormai da anni, in una città straniera ad insegnare come lavoriamo nella riabilitazione dell’autismo, e ad accogliere altre famiglie con bambini in ritardo o assenza di linguaggio (probabilmente nello spettro autistico) per visitare il loro piccolo, definirne la diagnosi, e soprattutto impostare il programma dei provvedimenti terapeutici.
Cambia la lingua che parlano i miei interlocutori, cambia la struttura dei luoghi, il clima, il numero dell’autobus o del tram, cambia il tipo di cibo che fugacemente consumo durante la pausa…, ma tutto il resto rimane spaventosamente uguale.
E’ perfettamente sovrapponibile a quanto accade a Milano, come a Napoli, come a Padova, il momento in cui i genitori del bambino cominciano a raccontarmi ciò che loro credono sia utile riferirmi, e non piuttosto rispondere con maggiore attenzione e precisione alle mie domande. E’ terribilmente sovrapponibile a quanto accade nelle sedi italiane, il cercare, da parte dei genitori, di trovare sempre una giustifica, una motivazione, a ogni deficit o mancata acquisizione di abilità da parte del figlio. E’ sconfortante e sempre deludente, sentir raccontare (come in altre migliaia di volte) che quando i genitori del bambino avevano esternato al pediatra le loro perplessità circa il ritardo di sviluppo del loro piccolo, il pediatra aveva risposto di non preoccuparsi e di attendere…
E’ spaventosamente uguale a quel che accade in altri studi, l’apprensione delle mamme a lasciar “digiuni” i figli (“sono ben due ore che non mangia, posso dargli qualcosa che ho portato con me?”), per poi tirar fuori dalla borsa pappine super omogeneizzate e sminuzzate, ai cui bocconi il bambino fa seguire concitate sorsate di acqua attinta da un biberon maledettamente in uso da ormai molti anni…
E’ tristemente irritante sentirmi obiettare ancora una volta che le terapie che propongo sono severe, non sarebbero gradite al bambino che “ormai ha le sue preferenze, le sue abitudini, i suoi rituali, le sue modalità comunicative” (quasi sempre non verbali!), e così via con una serie di posizioni e convinzioni che si pongono in totale antitesi con i princìpi di una riabilitazione fatta di perseveranza, costanza, fermezza, rispetto delle regole, assidua aderenza alle consegne.
A Ginevra come a Napoli, a Milano, a Verona, a Padova, a Palermo, a Casablanca, in Lussemburgo…, resta sempre troppo elevato il numero di famiglie che, in modalità suggestivamente uguale e ripetitiva, arretra davanti a proposte terapeutiche che richiedono un impegno serio e costante, così come, a monte, restano sempre alte le percentuali di sanitari impreparati che minimizzano e rinviano diagnosi e iniziative curative, piuttosto che sensibilizzare i genitori a prendere iniziative per un intervento rimediativo precoce.
Non mi resta che ripetere raccontando in altre lingue, la stessa sostanza di un discorso breve ma chiaro, secondo il quale, solo una presa in carico immediata, tempestiva, competente, sempre aggiornata, e realizzata senza titubanze e pietismi, può aiutare un bambino autistico a venire fuori da quella condizione.

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